Formazione

A Verona la lezione diventa un atelier

«Spesso a scuola i ragazzi imparano per imparare, ma non capiscono perché. Invece nel compito di realtà vedono che i linguaggi delle discipline sono necessari. Il fare è veicolo del pensiero». Il progetto sperimentale della Fondazione San Zeno porta in classe esperti atelieristi. Gli effetti? Misurati. I ragazzi stanno meglio a scuola, che è il primo fattore per prevenire la dispersione

di Sara De Carli

Ci sarà anche l’esperienza di Disegnare il Futuro fra quelle che oggi a Verona Ashoka ha riunito per disegnare la scuola di domani e creare un modello condiviso di didattica changemaker. "Verona fa scuola" chiama a raccolta le scuole e i docenti del Veneto per incontrare le scuole changemaker individuate da Ashoka e insieme approfondire i metodi didattici più innovativi e innescare un cambiamento nella scuola.

Disegnare il futuro è un progetto la prevenzione della dispersione scolastica avviato nel settembre 2015 da Fondazione San Zeno con 150mila euro all’anno. Coinvolge 8 istituti comprensivi di Verona e provincia, inziando con 9 classi iniziali arrivate in questo anno scolastico a 27 (12 della scuola primaria e 15 della secondaria di I grado), per un totale di circa 550 alunni e oltre 60 docenti coinvolti, 1.200 ore di intervento curricolare e 800 extracurricolare già realizzate. Il progetto terminerà ad agosto 2018 ma c’è l’intenzione di continuare, per un altro triennio, con 41 classi coinvolte.

Se l’obiettivo è promuovere lo stare bene a scuola e la motivazione all’impegno, lo strumento scelto è quello di generare un processo di profonda innovazione della pratica didattica, puntando sulla didattica laboratoriale. Non si tratta cioè tanto di affiancare laboratori alle lezioni ma di portare la didattica laboratoriale dentro il curriculum scolastico, in modo strutturale. «In Veneto ci sono 340mila studenti e 1.800 abbandoni, pari a circa 99 classi perse. I tassi di dispersione scolastica variano molto da provincia a provincia, a Verona siamo al 18%», disegna il contesto Alessandro Fainello, della Fondazione San Zeno. La Fondazione sostiene da vent’anni un percorso che porta la musica nelle scuole elementari: «l’esperto che entra in classe viene subito riconosciuto come tale, con una competenze immediatamente riconosciuta. Si crea nei ragazzi una motivazione diversa, senza il peso della valutazione e tutte le differenti competenze dei ragazzi emergono attraverso un compito che non è quello classico. Questi tre elementi di forza sono diventati i pilastri di Disegnare il futuro».

Disegnare il futuro infatti si avvale di un nutrito e variegato gruppo di atelieristi, selezionati con un bando pubblico, sulle sei categorie scelte dalla rete: si va dalla robotica alla logogenia, dalla danza alla falegnameria, dal teatro ai videomaker. Nel primo anno in cui la classe partecipa alla sperimentazione i laboratori hanno un peso massiccio, di 120 ore alla primaria e 80 alla secondaria, poi si scende a 80 e 60, anche perché i docenti – che hanno ricevuto una formazione aggiuntiva ad hoc – hanno fatto propria la metodologia didattica. «L’atelierista e il docente hanno due ruoli complementari. Gli atelieristi non entrano a scuola portando il loro progetto ma sono chiamati dagli insegnanti coinvolti nella sperimentazione. Insieme progettano una unità di apprendimento che comprende sempre un compito di realtà finale, che è l’escamotage a cui concorrono i vari linguaggi disciplinari, che diventano così linguaggi di descrizione della realtà», spiega Susanna Zago, docente alla scuola primaria, formatrice e coordinatrice della rete di Disegnare il Futuro. «Spesso a scuola i ragazzi imparano per imparare, ma non capiscono perché quelle cose che imparano sono importanti. Invece nel compito di realtà capiscono che i linguaggi delle discipline sono necessari: nell’atelier di falegnameria misurare, avere multipli e sottomultipli, ridurre o ingrandire sono motivati da cose da fare. Così nel teatro: serve lo serve scenografo ma anche il falegname, l’attore, chi scrive la drammaturgia, chi la musica, tutti i linguaggi disciplinari sono integrati in un unico compito di realtà». La convinzione, continua Zago, è che «il fare è veicolo del pensiero. L’insegnante ha il compito di tradurre in leggi teoriche ciò che viene fatto dall’atelierista».

Spesso a scuola i ragazzi imparano per imparare, ma non capiscono perché quelle cose che imparano sono importanti. Invece nel compito di realtà capiscono che i linguaggi delle discipline sono necessari. Il fare è veicolo del pensiero.

Susanna Zago, coordinatrice di Disegnare il futuro

Accanto a quanto avviene in classe, nell’ottica di creare una scuola che sia luogo di benessere, il pomeriggio vengono proposti laboratori extracurricolari aperti a tutte le classi, a cui partecipano anche altri ragazzi e alcuni genitori. «Sta cominciando a funzionare, è anche un modo coinvolgere le competenze dei genitori o per riattivare le competenze di genitori stranieri che a volte restano invisibili», racconta Zago. In più, il progetto diventa uno strumento per fare un orientamento precoce, premettendo ai ragazzi di scoprire proprie abilità e passioni ma a che nuovi linguaggi e nuove professioni.

Il modello Disegnare il Futuro ha un monitoraggio affidato all’Istituto Italiano di Valutazione di Milano, che raccoglie quanto emerge nelle classi sperimentali e nelle rispettive classi di controllo. Tre le aree di attenzione: lo sviluppo di competenze disciplinari, il benessere degli studenti, l’osservazione degli insegnanti su aspetti psicopedagogici. «Dai dati raccolti nel corso del progetto è molto evidente l’aumento dell’interesse all’apprendimento e la motivazione verso la scuola, come pure quella del benessere. C’è anche un aumento delle competenze disciplinari, non eccessivo, e che si evidenzia più alla scuola primaria, ma per quello serve un tempo lungo», spiega Zago. L’impatto sul benessere dei ragazzi a scuola è un elemento importantissimo nell’ottica della prevenzione precoce della dispersione scolastica. Un altro elemento interessante è che «il progetto è stato offerto a molte classi difficili, dove c’erano fragilità, dove la lezione frontale per mille ragioni non funzionava. I risultati più evidenti di crescita del benessere si sono avuti nelle classi più difficili».

Gli insegnanti stanno cambiando? «Alla primaria sicuramente, sono più permeabili e la scuola è più flessibile», risponde Zago. Alla secondaria «è più difficile, però cominciamo a vedere che la soddisfazione di recuperare alcuni alunni e di vedere realizzate alcune progettazioni comincia a motivare anche loro, in una scuola ad esempio una classe parallela, non coinvolta nella sperimentazione, ha fatto ebook di matematica. Questo per noi è il terzo anno, la scuola ha tempi lenti, siamo agli inizi ma i risultati sono incoraggianti».

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