Ventisei anni. Uno spazio di tempo che racchiude tutta la mia vita cosciente. Avevo quattro anni quando, il 26 settembre 1988 a Lenzi di Valderice in Sicilia veniva ucciso Mauro Rostagno. Naturalmente non ho alcun ricordo della cosa. Il mio primo ricordo di cronaca infatti è di un anno dopo: 1989, cade il Muro di Berlino.
Ci sono voluti 26 anni per tradurre la verità, evidente, in verità giudiziaria. A uccidere Rostagno fu la mafia. Dopo ore di camera di consiglio il tribunale di Trapani ha condannato all’ergastolo Vito Mazzara, esecutore materiale e Vincenzo Virga, mandante entrambi provenienti da un clan. Non serve sottolineare quanto sia ingiusta una giustizia che si muove su tempi di questo genere.
Ma non è per discutere di carte processuali o di storia recente che scrivo. Scrivo perchè Rostagno era, è vero, giornalista e sociologo. Ma soprattutto era uomo, padre e marito. E quando manca un uomo, che è padre e marito, moglie e figli devono fare i conti con il momento più drammatico della vita: la morte. Devono affrontare un’assenza quotidiana lancinante. Ed è un assenza definitiva e senza appello. Lo so perchè è successo anche a me.
Quello che non so, e che non credo di poter immaginare, è il dover affrontare tutto senza pace. Per 26 anni, giorno dopo giorno.
Senza pace non tanto per l’assenza in sé. Ma perchè se un dolore come la perdita di un uomo, di un padre e di un marito, non può essere consegnata agli ambiti più intimi e privati della vita. Se viene vilipesa e usata. Se rimane congelata nel suo ultimo istante. Se per 26anni tutto rimane inchiodato a quei colpi d’arma da fuoco, non ci può essere pace. Quel lutto non può rientrare nell’alveo della vita, ma rimane una parentesi, un’ombra, un piaga.
Scrivo più che altro per questo. Per fare un augurio. Che da oggi Mauro Rostagno possa riposare in pace. E che in pace la sua famiglia lo possa piangere. Che la sua morte da oggi possa tornare a fare parte della vita.
Un augurio che voglio fare con una canzone. Un pezzo che mi è molto caro da quando ho perso il mio di padre. È dei Massimo Volume e si chiama “Mi piacerebbe ogni tanto averti qui”
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