Politica
A Torino la clausola socialebè già realtà. E metteble ali alle buone pratiche
Appalti Bilancio di un regolamento comunale innovativo
di Redazione
294 lavoratori svantaggiati impiegati, 108 affidamenti, per un valore di 7,5 milioni, 17 cooperative sociali di tipo B coinvolte, una forte spinta alla concorrenza e all’aggregazione. Così funziona la regola del 3% P iù lavoratori svantaggiati occupati, più servizi affidati, più risorse impegnate. E, soprattutto, una percentuale di somme utilizzate superiore al limite che lo stesso Comune aveva individuato. Succede a Torino, grazie a un regolamento comunale innovativo e unico in Italia licenziato da Palazzo Civico nel 2005. Esso destina agli affidamenti mirati a favorire l’inserimento lavorativo una percentuale di almeno il 3% dell’importo complessivo delle forniture di beni e di servizi. Più di 7 milioni all’anno, per capirci. Un’idea che ha messo in moto una serie processi (in parte inattesi) che consentono di cogliere alcune dinamiche di sviluppo del non profit. Nel 2007, per citarne solo uno, sono stati assunti ben 52 lavoratori in più rispetto all’anno precedente. Il regolamento, inoltre, mette in concorrenza le imprese profit e non profit, specie per le gare sopra soglia (con un importo, cioè, superiore ai 206mila euro). Sia le une che le altre, infatti, possono partecipare ai bandi di gara purché accettino una condizione: l’impiego di persone svantaggiate nella misura di almeno il 30%. E, dunque, i disabili, gli ex detenuti, gli affetti da dipendenze e altri soggetti con difficoltà d’inserimento nel mondo del lavoro.
Per le gare sotto soglia si applicano, invece, le regole già previste dalla legislazione nazionale (381/1991): l’affidamento diretto dei servizi alle cooperative sociali di tipo B purché favoriscano il reinserimento lavorativo dei soggetti appartenenti alle fasce deboli. A Torino, spiegano tuttavia dal Comune, anche in questi casi si procede secondo l’evidenza pubblica e non con affidamenti diretti.
I risultati? Non si sono fatti attendere. Il secondo report sull’attuazione della norma, che SocialJob è in grado di anticipare, dice che il numero complessivo di lavoratori svantaggiati impiegati in attività affidate sulla base del regolamento 307 sono stati 294 (21 in più rispetto all’anno precedente). È cresciuto, inoltre, di 4 unità il totale degli affidamenti (108 in totale) e, soprattutto, ha superato il tetto del 3% fissato dal Comune sul totale di appalti. Gli affidamenti ex 307 hanno raggiunto infatti il 3,11% rispetto al 2,78 del 2006. Che, tradotto, in euro vuol dire: 7,5 milioni di euro su un totale di 241, 400mila euro in più rispetto alla somma del 2006 (allora il totale era stato di 267 milioni di appalti). Unico dato in calo il numero di cooperative sociali che gestiscono servizi in base al 307. Passano da 19 a 17.
Dunque, per tornare alle risorse, più di 7 milioni di euro sul piatto. Una torta che, inevitabilmente, ha suscitato l’interesse delle imprese sociali. Anche con sede fuori Torino. In un panorama segnato dalla generale diminuzione delle risorse disponibili c’è ora il rischio che le imprese sociali si ritirino da territori in cui non c’è il 307 e in cui magari non hanno più affidamenti e che si concentrino a Torino con la conseguente eccessiva esasperazione della concorrenza. La corsa all’appalto, spiega Gianni Rossetti , funzionario comunale e componente dello staff del vicesindaco, si è verificata in alcuni casi ma è stata arginata grazie a un rigoroso monitoraggio sull’esecuzione degli appalti. Si è assistito anche a piccole “migrazioni” di soggetti svantaggiati che si sono trasferiti a Torino pur di lavorare. «Le nuove procedure hanno favorito l’aggregazione fra le cooperative sociali, specie per la partecipazione a gare sopra soglia», osserva Rossetti. Il 307 non ha suscitato invece l’interesse delle imprese profit. Sono poche quelle che concorrono. Una che si è candidata, tuttavia, ha vinto una gara per i musei. Spendersi per il reinserimento lavorativo forse per il profit è considerato un peso più che un’opportunità.
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