Famiglia
A Torino in affido ci vanno le mamme con i bambini
"Come a casa" è il programma di Sos Villaggi dei Bambini che nel capoluogo piemontese dal 2018 contribuisce a ridurre l’allontanamento dei minori dalle famiglie migranti monoparentali promuovendo una rete di famiglie affidatarie interculturali e non. Una sfida al rilancio dell’istituto dell’affido «non come una panacea per tutto, ma come uno strumento a disposizione», precisa Samantha Tedesco responsabile programmi e advocacy dell'organizzazione. All'accoglienza dei minori è dedicato il numero di febbraio di Vita magazine
E se invece che un bambino ad andare in affidamento familiare fosse il minore insieme alla sua mamma? O al suo papà? È questa l’ipotesi di lavoro del Programma “Come a casa” realizzato a Torino da Sos Villaggi dei Bambini in collaborazione con i Servizi sociali, la Casa dell’Affidamento del Comune di Torino e il Gruppo di Volontariato Vincenziano.
Attivo dal 2018 il progetto nasce in realtà qualche anno prima, come spiega Precious Ugiagbe, nigeriana e mediatrice culturale e oggi responsabile del Programma “Come a casa”. «Nel 2010 dalla mia esperienza e osservazione di quanto stava accadendo soprattutto nella comunità nigeriana è nata l’idea di un affidamento familiare omoculturale. Vedevo nelle diverse comunità che accolgono mamme sole con bambini tante ragazze nigeriane che avevano alle spalle l’esperienza della tratta e tanti minorenni», ricorda Ugiagbe. Che spiega: «Mi ero resa conto che l’accoglienza veniva vista con occhi molto occidentali che non tenevano conto delle differenze culturali e delle difficoltà delle donne che si ritrovavano sole in una realtà non conosciuta. Per questo per prevenire la separazione dei minori dalle loro madri ho pensato a una terza via: affidare queste mamme single con i loro bambini ad altre famiglie della loro stessa cultura. All’inizio era un’esperienza specifica per la comunità nigeriana che è molto presente a Torino. Poi con gli anni è diventata internazionale».
Le famiglie affidatarie oggi sono somale, senegalesi, nigeriane e anche italiane, mentre i beneficiari arrivano da Nigeria, Ghana, Somalia e Senegal.
L’obiettivo del Programma è proprio quello di contribuire a ridurre l’allontanamento dei bambini dalle famiglie migranti monoparentali promuovendo una rete di famiglie affidatarie interculturali e non, sviluppando un modello di accompagnamento individuale delle mamme in affido.
Dal 2018 a oggi a beneficiare di questa iniziativa sono state 10 mamme, un papà, 20 bambini e ragazzi e un minore straniero non accompagnato. 19 le famiglie affidatarie che sono state formate e 10 gli affidi attivati dal 2018 a oggi.
Dietro i numeri ci sono le storie di tante mamme single che vivono in un Paese straniero «le madri sole hanno problemi in più, anche perché non riescono a trovare lavoro: quando dicono di avere un figlio piccolo non le assumono» illustra Ugiagbe (nella foto). «C’è poi il problema della lingua, spesso non parlano l’italiano ed è per questo che nel programma è previsto un percorso che le porta all’esame di terza media». Il progetto personalizzato non ha una durata precisa, ma in media dura tre anni «il primo anno è dedicato in genere al rafforzamento della capacità genitoriale, poi si pensa a un lavoro per la mamma quando il bambino ha raggiunto l’età per poter andare al nido», continua la responsabile.
Per prevenire la separazione dei minori dalle loro madri ho pensato a una terza via: affidare queste mamme single con i loro bambini ad altre famiglie della loro stessa cultura
Precious Ugiagbe, responsabile del Programma “Come a casa”
Una delle caratteristiche del Programma torinese è di avere base volontaria: «Il nostro è un lavoro di prevenzione, cerchiamo di arrivare prima e far capire alla donna in attesa o alla madre single che ha bisogno di un aiuto proprio per evitare che la situazione degeneri e si arrivi alla separazione tra madre e figlio» spiega Ugiagbe che tra i punti forti di “Come a casa” vede il lavoro di rete. «Le nostre famiglie affidatarie vengono formate sia da noi come Sos Villaggi dei Bambini sia dal Comune, poi noi continuiamo con gli aggiornamenti e soprattutto facciamo monitoraggio e incontri periodici perché la solidarietà va motivata. Il rischio altrimenti è che una famiglia si senta abbandonata: fare l’affidatario non è facile soprattutto quando hai davanti un altro adulto. I rischi di conflitto sono più frequenti che con i minori. Serve tanta motivazione e nelle nostre famiglie non manca».
La motivazione che si è sentita addosso Hope. Oggi lei è un’affidataria, ma solo quattro anni fa era una mamma sola con due bambine, vittima di violenza domestica. «Quando è arrivata da noi, direttamente dall’ospedale mi aveva confidato “la vita non ha senso. A tenermi viva sono solo i bambini”» racconta Ugiagbe. «Noi abbiamo badato ai suoi figli e l’abbiamo aiutata a ricucire la sua vita. A raccontarlo mi vengono i brividi». Hope ha ripreso in mano la sua vita fino ad uscire dal progetto, «ha una casa, lavora, ha raggiunto l’autonomia e ha scelto di diventare una nostra affidataria dopo aver fatto esperienza come volontaria con una mamma e suo figlio disabile. È questa la forza della rete» Conclude Precious Ugiagbe.
A Torino abbiamo un “affido consensuale” perché un nucleo familiare chiede aiuto e lo trova. L’unico limite sono gli spazi: non è facile trovare famiglie che abbiano case grandi a disposizione per accogliere una mamma con uno o due bambini
Samantha Tedesco, responsabile programmi e advocacy Sos Villaggi dei Bambini
Per Sos Villaggi dei Bambini il programma di Torino è un unicum, ma non lo sono alcune modalità, come spiega Samantha Tedesco (nella foto), responsabile programmi e advocacy dell’organizzazione. «A Vicenza abbiamo avuto diverse esperienze di formazione delle famiglie affidatarie in accordo con l’ente locale, lo abbiamo fatto anche a Crotone. Ma soprattutto» sottolinea Tedesco, «accompagniamo i bambini all’affido. Anche perché il 9% dei minori che escono dai nostri Villaggi Sos vanno in affido e noi li accompagniamo prima e dopo».
Quello di Torino è l’unico programma di affido dell’intera famiglia che, spiega Tedesco «nasce per capire se alcune situazioni di difficoltà mamma-bimbo nascono da questioni culturali da affrontare con la mediazione senza mettere in discussione il rapporto genitoriale, mettendo in campo un intervento di tipo educativo per risolverle».
Ma, precisa «tutto dipende dalle situazioni. In alcune può essere meglio l’affido classico – quello del minore – questo programma però consente di sperimentare un’accoglienza congiunta che lavora proprio sul rafforzamento del ruolo genitoriale. Le competenze in campo sono importanti soprattutto sul fronte della mediazione culturale».
La caratteristica peculiare di “Come a casa” è quella di «lavorare sul consenso. Non c’è un decreto che limita la genitorialità. In pratica non si viene messi in discussione come genitori, si agisce prima», precisa Tedesco che definisce quella di Torino una sfida al rilancio dell’istituto dell’affido «non come una panacea per tutto, ma come uno strumento a disposizione. A Torino abbiamo un “affido consensuale” perché un nucleo familiare chiede aiuto e lo trova. L’unico limite sono gli spazi: non è facile trovare famiglie che abbiano case grandi a disposizione per accogliere una mamma con uno o due bambini».
Tutte le immagini sono da Sos Villaggi dei Bambini
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