Salute

A tavola con l’autismo: come superare la selettività alimentare

Molte persone nello spettro autistico presentano comportamenti di selettività alimentare: un tema difficile da gestire, che impatta sulla quotidianità della famiglia e sulle possibilità di relazioni sociali. Da Food-Aut, la ricerca realizzata da Gruppo Pellegrini e Università di Pavia con Sacra Famiglia, ecco le prime linee guida nutrizionali

di Sara De Carli

Meglio la pasta corta degli spaghetti, meglio le verdure verdi rispetto a quelle arancioni, meglio cibi che hanno tonalità simili rispetto ad accostamenti cromatici contrastanti: sono alcuni dei consigli pratici per affrontare meglio le implicazioni dell’autismo a tavola. Le evidenze emergono da “Food-Aut”, un progetto di ricerca scientifica condotto dal Laboratorio di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Università di Pavia diretto dalla professoressa Hellas Cena in partnership con la Fondazione Sacra Famiglia Onlus e coordinato e sostenuto dal Gruppo Pellegrini: sono state raccolte in un piccolo manuale un piccolo che può essere di aiuto alle famiglie e alla ristorazione collettiva. Proprio questo d’altronde è il fine di “Food-Aut”: migliorare lo stato di salute delle persone con sindrome dello spettro autistico (ASD) attraverso l’elaborazione di menu per la ristorazione collettiva e di indicazioni nutrizionali rivolte ai caregiver/genitori, in modo da supportarli nella gestione dei pasti a casa.

«C’è un’alta percentuale di persone autistiche che ha questa selettività alimentare: che mangiano un solo cibo per tantissimo tempo, cucinato in un’unica maniera. Questo diventa un problema, per tante ragioni: perché impatta sulla quotidianità della famiglia, perché condiziona la vita sociale e di gruppo della persona e della famiglia, perché una dieta non corretta porta a maggiori probabilità di incorrere in malattie. Sono tutte fragilità che si sommano a una situazione di fragilità», spiega Monica Conti, direttrice dei Servizi Innovativi per l’Autismo di Sacra Famiglia. «Per la nostra organizzazione – che ogni anno segue più di 350 persone con autismo – questo studio rappresenta un’occasione preziosa per concentrarci con efficacia ancora maggiore sulle loro abitudini alimentari che incidono significativamente sul benessere psico-fisico. Attraverso un approccio graduale e attento della specifica sensibilità sensoriale delle persone con autismo, è possibile fare passi avanti verso un’alimentazione più varia, equilibrata, sane e sempre connessa alla socialità. I risultati spingono a insistere in questa direzione e a coinvolgere in studi analoghi anche bambini e adolescenti».

Oltre alla questione dell’argomento, infatti, prosegue Conti, ci sono altre due motivi che spiegano perché Sacra Famiglia ha accolto la proposta di partecipare alla ricerca, insieme ovviamente alla serietà dei player: «Il secondo è l’approccio che punta sulla sensorialità, molto innovativo. Considerare l’alimentazione in tutti i suoi aspetti, tenendo presenti tutte le caratteristiche della sensorialità autistica: la ricerca non ha valutato solo se un ragazzo gradiva un certo tipo di cibo o no, ma ha valutato il colore del cibo, l’impiattamento, il luogo in cui il pasto viene servito, la rumorosità dell’ambiente. È molto interessante», dice. Terzo punto «si tratta di una ricerca concreta, tanto vero che uno dei prodotti è un piccolo manuale che può essere consegnato ora alle famiglie o alla ristorazione collettiva. Non è scontato».

Come si è svolta la ricerca? Per un anno, da marzo 2022 a marzo 2023, lo studio ha osservato i comportamenti di 22 persone con Disturbi dello Spettro Autistico, fra i 19 e i 48 anni, che frequentano il Centro Diurno di Sacra Famiglia a Cesano Boscone (Mi). Persone con diagnosi di sindrome dello spettro autistico di primo, secondo e terzo grado. Per la valutazione dei loro consumi alimentari sono state utilizzate delle schede di valutazione standardizzate, ma alla scheda di valutazione quantitativa ne è stata aggiunta una di valutazione qualitativa, volta a identificare la gradevolezza dei piatti consumati rispetto alle caratteristiche sensoriali: nome del piatto, colore (uno o più), intensità dell’aroma (intenso o tenue), texture (croccante e/o morbido e/o viscido e/o gelatinoso) e temperatura (calda, fredda, ambiente). «Dopo la fase di osservazione e valutazione del gradimento del menu “ordinario”, è stato messo a punto un nuovo menu, che tenesse conto delle osservazioni fatte e di nuovo è stato registrato il gradimento, che è cresciuto. Il Laboratorio dell’Università di Pavia ha elaborato dei menu pensati ad hoc, sia da un punto di vista nutrizionale, sia sensoriale. Si è visto per esempio il consumo del pane è sceso, perché hanno mangiato di più i cibi proposti nel menu…. Sono state coinvolte anche le famiglie, con un’osservazione sui comportamenti alimentari a cena», racconta Conti.

I piatti risultati più graditi hanno caratteristiche sensoriali in linea con quanto descritto dalla letteratura scientifica rispetto al rapporto di soggetti con autismo con il cibo e le sue caratteristiche di colore, aroma, texture, temperatura. Fa la differenza anche avere un ambiente insonorizzato, con una illuminazione corretta, o il non mischiare i cibi all’interno del piatto: tutte cose che sappiamo ma di cui non sempre le logiche degli ambienti collettivi tengono conto.

Se volessimo sinterizzare le caratteristiche che rendono un pasto maggiormente accettato da soggetti con sindrome dello spettro autistico ecco che dovremmo prediligere formati di pasta corta; colori poco intensi come bianco e beige, no a colori accesi; omogeneità di tinte all’interno dello stesso piatto, vengono preferiti piatti che contengono ingredienti di tonalità cromatiche simili e non contrastanti; verdure di colore verde rispetto a quelle arancioni; frutta di colore chiaro/tenue (beige, bianco) e a pezzi. E poi ancora consistenze morbide o semiliquide, rifiutando alimenti difficili da masticare; gli odori tenui e non pungenti/forti, come quelli di alcune specie ittiche (es. sgombro); i gusti delicati, caratterizzati da un utilizzo ridotto di spezie, aglio, cipolla.

«Queste indicazioni non sono del tutto una sorpresa, ma il fatto che emergano da una ricerca scientifica così ben costruita dà al nostro agire quotidiano un’altra caratteristica», riflette la dottoressa Conti. Certamente ora queste evidenze si tradurranno nei menu della Fondazione Sacra Famiglia, «magari dopo aver testato i menu su un campione più ampio». Hellas Cena, direttrice del Laboratorio di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Università di Pavia, auspica che il progetto «abbia sviluppi a livello nazionale», mentre Valentina Pellegrini, Vice Presidente del Gruppo Pellegrini, con gli oltre 200mila pasti che fornisce ogni giorno, sente «la responsabilità di contribuire attivamente alla creazione e promozione di una cultura alimentare che tenga conto anche delle esigenze di tutte quelle persone che vivono un rapporto difficile con l’alimentazione, sviluppando indicazioni nutrizionali adeguate alle necessità ed esigenze di situazioni specifiche come ad esempio la Sindrome dello Spettro Autistico. Grazie alla nostra Accademia abbiamo dato vita a un progetto senza precedenti con l’obiettivo di portare il nostro miglior contributo nell’aiutare le persone con ASD e chi si prende cura di loro nel delicato momento del pasto».

In foto, da sinistra, la professoressa Hellas Cena; il presidente di Sacra Famiglia, don Marco Bove; Valentina Pellegrini, Vice Presidente del Gruppo Pellegrini. Foto di copertina di Jennifer Schmidt su Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA