Formazione
A scuola fino a 15 anni E la formazione va ko
Parte dal Veneto la rivolta anti Berlinguer.L'anno obbligatorio in più si dovrà adempiere negli istituti superiori e nessuno farà più il meccanico o l'elettricista.
D ecine di fax da scuole di formazione ma anche da piccole e medie imprese del Nordest ci sono giunti in redazione. Sono solo una minima parte dei tremila messaggi e firme raccolti dal Comitato Pro Formazione – costituitosi spontaneamente nel Veneto, e hanno tutti un solo obiettivo polemico: la Legge Berlinguer sull?estensione dell?obbligo scolastico. Da un lanificio nel Trevigiano scrivono: «Sono troppi i ragionieri, i geometri, i liceali in cerca di occupazione. Introvabili, invece, caldaisti, elettricisti, tornitori, fresatori, meccanici, elettromeccanici, figure professionali senza cui nessuna industria può sopravvivere».
Ma andiamo con ordine: quale problema solleva il primo tassello della riforma della scuola? L?anno obbligatorio in più non potrà essere adempiuto in un corso di formazione professionale, ma solo nella Scuola con la ?esse? maiuscola. Quella superiore, per intenderci. Un problema non da poco, che riguarda per esempio gli oltre 160 mila ragazzi che in media frequentano ogni anno i corsi di prima qualifica e di post qualifica nelle scuole regionali e convenzionate. E che riguarda sicuramente anche i 120 mila ragazzi che costituiscono l?esercito invisibile della dispersione scolastica tra i 14 e i 15 anni. E un problema, infine, anche per le famiglie, che sulla iscrizione dei propri ragazzi al primo anno superiore o alle scuole professionali non sanno che atteggiamento tenere: i provveditorati agli studi dicono una cosa (che la legge è in vigore già da quest?anno, e riguarda dunque chi frequenta la terza media), il ministero, tranquillizzante ma ufficioso, sostiene l?esatto contrario (che la legge entrerà in vigore col prossimo anno, e dunque riguarda solo i ragazzi che frequentano la seconda media). Insomma un pasticcio. Che penalizza una volta di più la formazione professionale. Una formazione cui l?Italia è tradizionalmente disattenta, basta guardare alla bassa percentuale dei ragazzi fra i 15 e i 19 anni che frequentano i corsi professionali: solo il 12%, penultimo posto nell?Unione europea dopo il Portogallo, a fronte di una media europea del 28%.
Don Bruno Bordignon, segretario generale delle Scuole di formazione salesiane, la realtà di formazione professionale più importante in Italia, non drammatizza: «Una situazione non paritaria tra formazione teorica e pratica è largamente diffusa anche in Europa. In Spagna l?anno scorso hanno introdotto l?obbligo ai 16 anni, con le previsioni del governo di un abbandono intorno al 20%. I risultati finali hanno dato, invece, il polso del totale fallimento dell?iniziativa: il 38-40% dei ragazzi non è riuscito a finire il primo anno obbligatorio», sottolinea . «La differenza con l?Europa sta piuttosto nella definizione: i nostri sono chiamati corsi, non scuole. Perché in Italia si ha la tendenza a credere che sia solo lo Stato a dover educare; una tendenza del tutto ideologica». Parole dure quelle di Bordignon, ma che lasciano qualche spiraglio al ministro della Pubblica istruzione. «Questo innalzamento dell?obbligo è una sciocchezza se presentato come una soluzione alla dispersione scolastica: quelli che non si iscrivono alle superiori sono gli stessi che non finiscono neanche le medie», prosegue don Bordignon. «Ma io sono fiducioso in una diversa, e rapida, evoluzione di questa legge. Al Senato si discute di una non meglio definita sperimentazione che dovrebbe interessare anche le scuole professionali». Le modifiche alla legge sono dunque auspicabili? «Di più, necessarie. Credo che il ministro abbia voglia di fare in fretta, e tramite questa legge ha ottenuto l?effetto di avere completa autonomia per la radicale riforma dei cicli scolastici. Una riforma che non deve però piovere dall?alto, ma rispondere alle esigenze del territorio».
Proposte che eccheggiano nei corridoi del Palazzo, chiamato a fare una riforma scolastica che abbia un senso, ma anche a chiarire il destino dei ragazzi per l?anno scolastico 1999/2000. «Due sono le richieste che abbiamo fatto a Berlinguer», spiegano dall?Enaip, l?ente di formazione delle Acli. «La prima riguarda l?emissione di un decreto che salvi le scelte già fatte dalle famiglie e che l?anno prossimo i ragazzi che hanno optato per un corso professionale possano frequentarlo. D?altra parte, l?approvazione della legge ad appena sei giorni dal termine per le iscrizioni al prossimo anno scolastico non può stravolgere le scelte delle famiglie nell?educazione dei propri figli. Inoltre sollecitiamo, con una proiezione futura, il rinvio della riforma scolastica al 2000 perché ci appare indispensabile una regìa d?insieme con il riordino dei cicli scolastici e l?organizzazione dell?obbligo formativo fino ai 18 anni. Che, ovviamente, salvaguardi i centri di formazione professionale». Per Luigi Sepiacci, presidente dell?Aninsei, l?ente di formazione che fa capo a Confindustria. «Il problema si porrà drammaticamente gli anni successivi se si proseguirà nella strada di voler incanalare i percorsi scolastici, invece di occuparsi seriamente dei tanti ragazzi drop-out, che solo nella formazione, e non a scuola, possono trovare un futuro occupazionale».
In Veneto, da dove è partita la contestazione alla legge Berlinguer, non vogliono stare ad aspettare. Come ci spiega Federico Faido, professore del Centro di Formazione Turazza di Treviso: «Chi ha deciso la riforma non ha alcuna esperienza di insegnamento ai ragazzi. Già per fargli finire la terza media bisogna legarli alla sedia: cosa serve costringerli a fare nello stesso modo un anno in più? Solo ad aumentare la dispersione scolastica».
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