Niente da dire, quelli dei social media sono una gran fonte di stimoli. Forse perché, grazie ad connessioni estese e alla propensione a fare community, trasferiscono iniziative da una parte all’altra con gran facilità. L’ultima proposta in ordine di tempo è una startup school che aiuti neoimprenditori del web ad affrontare il difficile passaggio che va dall’elaborazione dell’idea fino alla coda allo sportello della Camera di commercio per aprire la partita Iva (ma forse si può fare on line, chissà). Ricordo qualche tempo fa un bello schema sul finanziamento delle imprese nelle varie fasi del loro ciclo di vita e proprio questa parte del tragitto veniva simpaticamente definita “death valley”. E ho ancora nelle orecchie le telefonate preoccupate di aspiranti imprenditrici sociali che volevano rispondere al bando proposto da Donna Moderna ma che facevano una gran fatica a gettare l’idea imprenditoriale oltre la siepe del formulario. E infatti, sono pronto a scommetterci, i tecnocrati della progettazione la faranno da padroni. Proprio per questo varrebbe la pena di pensare a una startup school anche per imprenditori sociali. Perché si sa che la fase pre imprenditoriale di queste inziative è particolarmente rilevante. “Slow to start and hard to die” diceva il mio capo. La partenza può essere particolarmente lunga e complicata per un’impresa sociale. Bisogna convincere un tot di portatori di interesse che davvero si vuol fare qualcosa che è “nell’interesse generale”; occorre intercettare risorse non solo posizionandosi in mercati più o meno maturi; vanno poi coinvolte persone non solo offrendo loro denaro, ma motivazioni e valori. Per fare tutto questo ci vogliono certamente competenze tecnico specialistiche: compilare formulari appunto, elaborare business plan, organigrammi e via dicendo. Bisogna però anche accumulare ed investire capitale fiduciario, occorre avere chiarezza dello scenario e, capacità di determinarlo (per quel che si può). Tutte cose, si dirà, che non si imparano a scuola. Ma dipende da chi sta in cattedra e da quel che si fa anche fuori dall’aula. Da pensare.
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