Welfare

A Roma si muore di assistenza

Sono 50 mila le famiglie con alloggi di fortuna. Duemila persone sono ancora alloggiate in residence degradati a spese del Comune.

di Barbara Fabiani

Un ammasso di lamiera accartocciata e plastica fusa, una foto e un piccolo mazzo di fiori. È quello che rimane del rifugio della piccola Carmela, la bimba di due anni che la notte dello scorso 13 marzo è morta tra le fiamme che hanno avvolto la roulotte in cui dormiva con i due fratellini, scampati alla tragedia. Affacciati dai balconi dei loro appartamenti del residence Roma, gli zii e i genitori dei piccoli hanno visto il rogo alzarsi dal cortile. Ogni tentativo di soccorso è stato inutile. Gli abitanti del residence si sono stretti intorno ai giovani genitori impotenti e disperati, due camminanti (nomadi) siciliani di 24 e 27 anni venuti a Roma per cercare lavoro. «Se avessero avuto una casa forse non sarebbe successo», ha commentato il popolo del residence, e mai come in questa occasione i monolocali del residence assegnati dal comune gli sono sembrati un bene irrinunciabile.
Roma capitale è in piena emergenza casa: nell?ultimo anno sono stati emessi 15mila sfratti di cui 5mila esecutivi, almeno 10mila persone vivono occupando case private ed edifici pubblici, solo nel 2000 si sono aggiunte 640 denunce del Nucleo informativo patrimonio del Comune per occupazione arbitraria e furto di energia elettrica.
La politica con cui l?Amministrazione affronta l?emergenza ha radici nel 1983 e si ispira ai peggiori principi di uno Stato sociale presuntuoso, spendaccione e inefficiente. L?allora giunta comunale per tamponare l?emergenza pensò a delle convenzioni con residence nei cui monolocali e bilocali con angolo cottura (tra i 30 e i 45 metri quadrati) venivano collocate (e a tutt?oggi vivono) intere famiglie. Tre le strutture designate, il residence Roma, il più grande con le sue cinque palazzine e 562 miniappartamenti. Quello nel cui cortile è bruciata la roulotte dei genitori di Carmela. Poi il residence Val Cannuta, con 264 appartamenti e il residence Le Torri, che oggi ospita una cinquantina di famiglie. La lettera di assegnazione prometteva dai tre ai sei mesi di permanenza in attesa di un alloggio dell?edilizia popolare pubblica, ma al residence Roma ci sono famiglie che aspettano da diciotto anni e per i più la media di attesa è di cinque. Si pensi che solo nel 2000 è stato finalmente pubblicato il bando generale per l?assegnazione di alloggi comunali, a undici anni dal precedente.
Con una così lunga permanenza e una così densa concentrazione di problematiche sociali era inevitabile che i residence si trasformassero in ?ghetti? e si diffondessero tra alcune famiglie comportamenti opportunistici e passivi, tipico effetto dell?assistenzialismo. Oltre ai costi umani e sociali vanno aggiunti quelli economici completamente a carico dell?amministrazione pubblica: un monolocale costa mensilmente un milione e 600 mila lire, i bilocali 2 milioni e 700mila, prezzi che comprendono il servizio di portineria sulle 24 ore, la manutenzione gratuita e il ricambio settimanale di lenzuola e asciugamani. In alcuni casi il Comune è arrivato a spendere anche 30 miliardi per poco più di mille famiglie. Una situazione insostenibile da ogni punto di vista che ha convinto l?assessore preposto all?assistenza alloggiativa, Giusy Gabrieli, a cambiare strategia istituendo un ?buono affitto? (delibera 163/98), un contributo fino al 90% dell?importo per un massimo di un milione a quelle famiglie con particolari problemi (che siano di reddito o sociali), provvedimento che nelle intenzioni dovrebbe esaurire la funzione dei residence, nei quali non si accede più da due anni.
Oggi nei residence restano 536 famiglie (circa 2000 persone) per cui ancora si spendono 20 miliardi annui. Spesa che continua a gravare sul problema principale che è la mancanza di fondi adeguati per l?edilizia residenziale pubblica. Gli appartamenti del Comune disponibili con l?ultimo bando sarebbero 450 ma le domande arrivate sono ben 8mila. E le graduatorie dell?Istituto Autonomo Case Popolari contano almeno 10mila richieste in attesa. Alla situazione di crisi contribuiscono poi anche le ?guerra tra poveri?: accade spesso infatti che le case assegnate vengano occupate da altre famiglie impedendo ai destinatari di prenderne possesso. Per il 2001 si parla di istituire un servizio del Nucleo di pronto intervento della polizia municipale per la sorveglianza degli alloggi liberatisi fino alla riassegnazione (entro le 24 ore) per evitare ulteriori occupazioni.
Intanto si sperimenta il ?buono casa? del Comune che funziona così: le famiglie fanno domanda per il bonus e cercano di stipulare presso un privato un contratto in affitto, che una volta firmato va presentato all?amministrazione che avvia l?erogazione del contributo mensile. E qui si presentano i nodi che spesso inceppano il meccanismo: la sfiducia da parte dei proprietari nei confronti di famiglie con problemi di solvibilità, nonché qualche sospetto verso la burocrazia amministrativa, a cui si aggiunge spesso la mancanza da parte delle famiglie nel capitale iniziale per la caparra e le pratiche di registrazione. Per accedere al contributo, infatti, bisogna avere un reddito inferiore ai 21 milioni annui. Le richieste di ?bonus? accolte a settembre 2000 sono state 721 (per un totale di 1500 persone).
Ma per avere davvero il polso del disagio abitativo a Roma basta considerare che nel 2000 ben 26mila famiglie romane hanno fatto richiesta di accedere al Fondo sociale per l?alloggio istituito dalla legge 431/98 (che destina alla provincia di Roma 57 miliardi per contributi per gli affitti) mentre a Napoli sono state 12mila e solo 1800 a Milano.

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