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A regista tunisina il Premio “Miglior film africano”

A Milano Raja Amari ha spiazzato con il suo film sulle donne fra melò e horror

di Emanuela Citterio

Si è chiusa ieri a Milano la ventesima edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, che ha registrato quest’anno un record di presenze. «Nel palmarès di quest’anno, dominato dal coreano “Une vie toute neuve”, spiccano alcuni riconoscimenti importanti per registi dell’Africa araba e subsahariana» commenta oggi il sito “Cinemafrica” «a partire dal premio per il Miglior Film Africano, andato a “Dowaha/La berceuse”, smagliante opera seconda, fra mélo e horror psicologico, della tunisina Raja Amari», film coprodotto da Tunisia, Svizzera e Francia. Significativo anche il Premio Regione Lombardia al Miglior Documentario “Finestre sul mondo”, dato ex-aequo a un altro regista tunisino, Hichem Ben Ammar, per “Un conte des faits”, ritratto di un giovanissimo violinista figlio d’arte. Tra i trofei destinati a registi africani il Premio “Eni” Miglior Cortometraggio è andato al fortunato musical “Un transport en commun/Saint Louis Blues” della senegalese Dyana Gaye.

«Il film della Amari ha avuto un’accoglienza controversa, non è il tipico film sull’oppressione della donna che ci si aspetta da una regista tunisina» spiega la direttrice del Festival Alessandra Speciale. «Il film mette al bando il realismo e racconta una situazione estrema: la storia di una madre e due figlie che vivono in un seminterrato isolate da tutto e osservano la realtà a partire da questo isolamento. La situazione precipita quando una vicina di casa interrompe questo equilibrio malato finché la figlia più giovane, e più sofferente a causa della libertà oppressa, esplode e compie un massacro. È una visione sopra le righe che apre al triller ma che nasconde la necessità di raccontare una storia di difficile affermazione della propria libertà nella Tunisia di oggi».

Fra le novità dell’edizione 2010, ha riscosso successo la sezione “Forget Africa”, frutto della collaborazione sperimentata quest’anno per la prima volta fra il Festival del Cinema Africano e l’International Film Festival di Rotterdam. Dodici registi non africani, la maggior parte asiatici che non avevano mai messo piede sul  continente, in dodici Paesi dell’Africa centrale e australe, per girare film in collaborazione con registi locali. «Il pubblico ha accolto con favore il risultato di questo esperimento, che ha rimandato una visione non stereotipata e originale del continente africano. Siamo soddisfatti della collaborazione con Rotterdam e vorremmo lavorare con loro su un ulteriore progetto. L’idea è invertire l’esperimento: mandare in Asia i cineasti africani che hanno collaborato al progetto “Forget Africa”. Questo incrocio di sguardi sulle rispettive realtà e culture ci sembra particolarmente fecondo».

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