Purtroppo la carestia continua a mietere vittime inncocenti nel Corno d’Africa. Ogni giorno ricevo lunghe mail dagli amici che operano sul campo e i loro racconti sono agghiaccianti. E mentre le cancellerie del Primo mondo sembrano uscire dal letargo finanziando un ponte aereo tra il Kenya e la Somalia, si acuisce a dismisura la frustrazione rispetto a questo genere di calamità in cui si evidenzia sensibilmente la necessità di riformare il nostro modo di fare cooperazione. Intendiamoci, se da una parte è doveroso sempre e comunque aiutare chi soffre d´inedia e pandemie attraverso le organizzazioni non governative e missionarie, dall´altra occorre operare un serio discernimento dopo tanti fallimenti da parte del macchinoso sistema degli aiuti internazionali. Il fatto stesso che si continui a passare ogni anno da una crisi all´altra, ostentando una cinica rassegnazione, dimostra chiaramente che non esiste un modello di sviluppo vincente se si prescinde dalla complessità della condizione umana e soprattutto delle diversità culturali dei popoli su scala planetaria. A questo proposito è illuminante il Rapporto sullo sviluppo umano 2010 che ben illustra quanto sta accadendo in molte aree depresse del nostro pianeta. Il paradigma dello sviluppo, in un mondo globalizzato, dovrebbe essere concepito come affermazione sacrosanta di diritti inviolabili della persona umana. Ecco che allora ogni legislatore attento alla Res publica dei popoli, dovrebbe riconoscere che le componenti dello sviluppo umano vanno ben al di là del tradizionale “intervento tampone” per tacitare le coscienze, riguardando il riconoscimento fattivo e dunque la globalizzazione dei diritti, dalla prassi della salute, all´istruzione; dai beni materiali, alla partecipazione politica e alla coesione sociale. La posta in gioco è alta se si considera che la visione attuale della cooperazione è contrassegnata molto spesso dall´efficientismo occidentale secondo cui tutto deve uniformarsi allo schema concepito a tavolino dagli esperti del settore. Un indirizzo che ha generato, proprio per colpa di questo centralismo decisionale, un fenomeno aberrante, quello dello sradicamento degli interventi umanitari dal territorio, con la complicità dei donatori internazionali. È dunque doveroso in questa circostanza fare tesoro dell´ammonizione formulata da Benedetto XVI nell´enciclica sociale Caritas in Veritate, laddove è auspicata la creazione di “un´autorità politica mondiale”, che “dovrà essere regolata dal diritto”, attenendosi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà. “Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione internazionale – scrive il Pontefice – esigono che venga istituito un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione”. In sostanza, si tratta di andare oltre l´approccio paternalistico, tipico di certa propaganda assistenziale che acuisce a dismisura la dipendenza dei Paesi del Sud del mondo. Non basta neanche concepire gli interventi trasferendo da un continente all´altro l´enciclopedia dei saperi e delle conoscenze, ma occorre avere il coraggio di promuovere la crescita integrale della persona e delle comunità riconoscendone i diritti inalienabili. Come ha sottolineato pertinentemente il professor Felice Rizzi, “troppo spesso la lotta contro la povertà diventa l´applicazione delle logiche umanitarie di urgenza che non incidono sulle cause del sottosviluppo”. La cooperazione, dunque, va vista come un cambiamento radicale nella visione politica degli obiettivi dello sviluppo, e come rimoludazione dei meccanismi economici e sociali che impediscono il conseguimento di questi obiettivi. In altre parole, la povertà è un processo di esclusione determinato dalle ineguaglianze di un sistema strutturale incentrato sui privilegi di pochi, negando il primato dell´uomo creato a immagine somiglianza di Dio. Ben vengano dunque i summit contro la fame, ma a condizione che non si riducano alla solita colletta nei confronti di chi invece invoca giustizia.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.