Mondo

A proposito degli attacchi contro i cristiani in Africa…

di Giulio Albanese

Davvero scioccante quanto è avvenuto Domenica scorsa, sia in Nigeria che in Kenya. Ecco che allora ho pensato di pubblicare su questo Blog alcuni pensieri già condivisi con i lettori dell’edizione odierna di Avvenire. Com’è noto sono state colpite ignobilmente due comunità cristiane, geograficamente agli estremi, una collocata ad Occidente, l’altra ad Oriente del continente. Un qualcosa di abominevole che si è consumato sincronicamente nel “Giorno del Signore”, offendendo non solo la dignità umana, ma anche il sacrosanto sentimento religioso di comunità cristiane che chiedono di vivere in pace. Detto questo, però, è bene rammentare che da quelle parti, sia nella città di Kano, come anche a Nairobi, questi credenti sono, per così dire, “nel mirino” degli estremisti perché rappresentano la parte sensibile, quella più indifesa, di società in cui la religione è troppo spesso strumentalizzata indebitamente per fini eversivi. In effetti, già nel passato, si erano verificate simili mattanze che in molti casi hanno anche colpito obiettivi civili e militari, più in generale gente comune. Nel caso nigeriano è evidente che gli autori dell’aggressione all’università di Kano hanno ribadito che il loro intento è quello di destabilizzare la più popolosa nazione africana, indebolendo lo Stato di diritto di cui le istituzioni federali di Abuja sono latrici. Una guerra non dichiarata che si sta consumando con complicità più o meno occulte, all’interno del sistema Paese, ma anche sotto l’effetto contaminante dei movimenti jihadisti maghrebini e saheliani. Formazioni che s’ispirano alla subdola dottrina qadeista col finanziamento del pericolosissimo movimento salafita, di matrice saudita, che sta sempre più radicandosi nella fascia nordafricana dopo la caduta dei due grandi Rais, Muammar Gheddafi e Hosni Mubarak. A Nairobi, invece, si è trattato presumibilmente dell’ennesima azione intimidatoria dei ribelli al Shaabab che intendono punire il governo del presidente Mwai Kibaki per essersi coinvolto militarmente in Somalia contro di loro. Ecco che allora non è lecito rimanere indifferenti di fronte a queste oscenità della Storia contemporanea, trattandosi di un terrorismo che rischia di pregiudicare qualsiasi ipotesi di riscatto per l’intero continente. Se da una parte è bene che la comunità internazionale esca dal letargo stigmatizzando l’inganno di questi malfattori, dall’altra è chiaro che l’unico vero ed efficace deterrente contro costoro è l’umanizzazione dei processi di globalizzazione, a partire dal riconoscimento dei diritti inalienabili della persona umana. Fin quando, ad esempio, i proventi dell’oro nero nigeriano saranno appannaggio di alcune oligarchie con la connivenza d’imprese straniere, o il business di armi e munizioni sarà fiorente per le negligenze di quei Paesi, poco importa se industrializzati o emergenti, che guardano solo al profitto – a Mogadiscio e dintorni, come anche a Nairobi vi sono ingenti arsenali in mano ad organizzazioni mafiose e dunque eversive – sarà illusorio pensare che questi scenari africani subiscano delle significative mutazioni. La posta in gioco è alta soprattutto in considerazione della crisi internazionale dei mercati che rischia di rendere sempre più spregiudicate le azioni sovvertitrici degli estremisti di cui sopra. Non v’è dubbio che forse, mai come oggi, sarebbe auspicabile che quelle Nazioni che, almeno sul piano formale, sono sostenitrici dei valori democratici, uscissero da quelle politiche “a geometria variabile” per cui i rapporti di cooperazione internazionale (politici, economici, militari e culturali) sono ambiguamente impastati con quelli della benemerita cooperazione allo sviluppo. Lungi da ogni retorica, per sconfiggere i famigerati jihadisti occorre tendere la mano ai Paesi del Sud del mondo promuovendo fattivamente il raggiungimento degli agognati obiettivi di riduzione della povertà, delle ingiustizie e la promozione dei diritti umani e della pace. Altrimenti continuerà a scorrere sangue innocente.

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