#NataleÈ
A Pordenone, liberi e protetti
È una tradizione laica, il pranzo di Natale nella sede de "I ragazzi della panchina" nella città friulana. Educatori, psicologi, amici, frequentatori, vicini si ritrovano per l'unico momento di condivisione dell'anno. Per i giovanissimi, le feste sono un pretesto per vedersi in un luogo libero, e allo stesso tempo protetto, pulito. Un luogo dove si stringono legami profondi, che ti possono salvare. Per chi sta ai margini, l'unico luogo in cui trovare una famiglia
Cos’ha di speciale questo posto? «È un luogo in cui si stringono legami profondi, dove si possono fare discorsi profondi, cose che al bar non diresti mai. Non è solo il fatto che si possa entrare gratis. Per me questo è un luogo di libertà. Un posto accogliente e protetto, dove chi è in difficoltà trova aiuto, anche solo una doccia se finisci a vivere in strada», dice Lorenzo, studente al primo anno all’Università di Udine, durante il pranzo di Natale nella sede de “I ragazzi della panchina”, a Pordenone venerdì 22 dicembre. L’associazione è nata nel 1999 e si occupa di dipendenza, con un centro diurno aperto ai chi vive nel disagio, per qualsiasi ragazza o ragazzo che abbia un problema, piccolo o grande, legato alle sostanze psicoattive.
«Il pranzo di Natale è un momento molto importante per noi, l’unico in cui tutte le persone che ci stanno vicine: amici, frequentatori, persone del quartiere, psicologi, educatori, si incontrano. Lo organizziamo dal 2010. È un’occasione per rafforzare la nostra presenza sul territorio, ma è fondamentale anche per chi non ha una famiglia e trova un’occasione di festeggiare il Natale insieme a una famiglia acquisita», spiega la presidente Ada Moznich.
Da quando ha iniziato a frequentare Scienze dell’Educazione a Udine, Lorenzo non ha più tempo per passare in sede, e così Elia, che si è iscritto a Discipline dell’Audiovisivo, dei Media e dello Spettacolo – Dams di Gorizia. Erano in classe assieme alle superiori, ma la loro amicizia si è consolidata frequentando il gruppo degli under 25 della panchina, una volta alla settimana. «È un percorso che abbiamo avviato un anno e mezzo fa, dedicato ai giovani segnalati per sospetto di consumo di sostanze in base all’articolo 121 del Testo unico stupefacenti. La partecipazione è volontaria e infatti la maggior parte non si presenta, per poi arrivare quando ha problemi più grandi. A chi viene, può cambiare la vita», prosegue Moznich.
I ragazzi, quelli che frequentano ancora e chi non più, si sono presentati presto in sede, venerdì al mattino, per dare una mano a preparare da mangiare, nella cucina al piano terra della sede, e per preparare la tavola. Alcuni hanno portato da casa qualcosa da condividere. Maria ha portato la farinata di ceci, un piatto semplice e povero: lei si sente così, «anche peggio». Non frequenta più la sede, perché sta seguendo un corso per la gestione del verde. «Oggi sono tornata volentieri e ho voluto preparare qualcosa di simbolico da condividere con il gruppo», spiega, «la prima volta che ci siamo incontrati, infatti, gli operatori ci hanno chiesto di presentarci con un cibo che ci rappresenta e io avevo scelto la farinata».
«Se sono qui non è per il Natale, ma per trovare le persone con cui sto bene, potrebbe essere qualsiasi momento dell’anno», dice Lorenzo. Elia ribatte: «A me l’essenza del Natale piace, ma è bello se vivi in un ambiente familiare in cui non c’è tossicità, altrimenti è il contrario di quello che dovrebbe essere. E non mi piace il fatto che venga usato a fini economici e politici, con le inutili polemiche sul presepe». I ragazzi descrivono famiglie spezzate, dove il clima è conflittuale, dove incontrarsi è una forzatura e non si sentono a casa. «Eppure io voglio bene ai miei e so che loro ne vogliono a me», conclude Elia. «Forse tra qualche anno vi capirete… Succede così», dice Lorenzo.
Un gruppetto si alza e va via. «Mi raccomando, che fino a mercoledì sono quattro giorni, tenete duro, poi riapre la sede»: Ada li saluta così. Le feste, per chi vive una situazione di disagio, sono un periodo particolarmente difficile, dove la solitudine si sente di più e la tentazione di lasciarsi andare aumenta. «Dopo anni, per la prima volta, al pranzo sono venuti tanti giovanissimi: è il segno del lavoro che stiamo facendo, del cambiamento dell’associazione. Una ventata di leggerezza. Prima era quasi solo il luogo di rifugio per chi è ai margini, oggi è diventata prevalente la componente di lavoro socio educativo, l’azione sulla prevenzione e sono aumentati gli under 25», spiega Chiara Zorzi, operatrice storica de “I ragazzi della panchina”.
Di chi frequentava la sede un tempo, molti sono morti. Giorgio indica una delle foto del collage appeso al muro, il racconto per immagini della storia dell’associazione: «Guarda: di questi, l’unico ancora vivo sono io». La foto è quella dei funerali del poeta Andrea Zanzotto, originario di Pieve di Soligo, amico dell’associazione pordenonese, tanto che a portare la sua bara in chiesa sono stati proprio “i ragazzi”. «È un bel segnale vedere qui tanti giovani, sai? Non vuol mica dire che ci sia più droga, quella c’è sempre, cambia la capacità di intercettare le persone che ne fanno uso, di poterle indirizzare su un binario diverso», continua Giorgio. «Non rinnego il passato, specialmente la mia vita da punk a Londra, Amsterdam, Berlino Ovest negli anni 80, prima della caduta del muro. Era una situazione irripetibile, Kreuzberg era il luogo in cui si trasferivano tutti gli antimilitaristi tedeschi, perché così evitavano il servizio militare. È un mondo che non c’è più. Io poi ho avuto la fortuna di costruirmi una famiglia, mi sono salvato. Qui, comunque, torno sempre volentieri. Resta un punto di riferimento, per gli ultimi tra noi e per i giovani».
Foto di Ada Moznich
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