Mondo

A pechino internet va di mano in mano

Le informazioni su carta sono più sicure. Invece quelle in rete ormai sono sotto il tiro della censura. Papa compreso...

di Emanuela Citterio

Si chiama China Developement Brief l?ultima testata online caduta sotto i colpi della censura di Pechino. Non si tratta di un blog qualunque, ma di un portale del non profit che esiste da 19 anni, con lo scopo dichiarato di favorire la comunicazione fra le organizzazioni della società civile cinese, il governo di Pechino e gli altri Paesi del mondo. Con una versione inglese e una in mandarino, il China Developement Brief pubblicava lanci giornalieri e rapporti sui temi dell?ambiente, dello sviluppo, dei diritti umani e civili.

Il 4 luglio una perquisizione durata tre ore da parte di una dozzina di funzionari governativi nella sede di Pechino si è conclusa con l?ingiunzione di cessare tutte le attività, nonostante l?edizione inglese sia gestita da un server che ha base in Gran Bretagna. Nick Young, il direttore della versione in lingua inglese, è stato accusato di aver condotto «ricerche non autorizzate» in contravvenzione con la legge cinese dell?83 sulla pubblicazione di dati e statistiche. Young ha detto di non riuscire a individuare nessuna ragione che motivi la decisione se non il fatto che il sito può essere diventato vittima del suo stesso successo.

Il Cdb era considerato da molte ong cinesi un luogo virtuale di riferimento per comunicare e scambiarsi informazioni. «Forse siamo diventati troppo visibili e hanno cominciato a prenderci troppo sul serio», ironizza Young. Sta di fatto che la perquisizione ha coinciso con una delicata fase di transizione dell?esperienza quasi ventennale della testata online. Young, che ne è stato anche il fondatore, aveva appena annunciato di volerla lasciare in mano a un team di giornalisti cinesi, che sarebbero diventati proprietari ed editori a tutti gli effetti, e aveva appena ottenuto i finanziamenti per compiere questo passo.

«Ho sempre creduto nella necessità di un dibattito sulla Cina a cui potessero prendere parte voci cinesi indipendenti e informate», aveva scritto in un lancio pubblicato due giorni prima della perquisizione, «al posto di un dibattito dominato solo da voci occidentali, che spesso sono poco consapevoli delle reali difficoltà di governare questo Paese enorme e complicato».

Mancano 13 mesi alle Olimpiadi di Pechino e il governo cinese sa di avere gli occhi della società civile e dei governi di tutto il mondo puntati addosso. Sul sito di Reporters sans frontières campeggia a tutta pagina l?immagine della campagna Pechino 2008, con cinque manette al posto degli anelli olimpici. L?organizzazione che difende la libertà di stampa denuncia che «almeno 30 giornalisti e 50 attivisti di siti internet sono nelle carceri cinesi, alcuni persino dagli anni 80».

Intanto sotto censura è finito anche Benedetto XVI. La sua lettera ai cattolici in Cina è stata resa pubblica dalla Santa Sede il 30 giugno. È una storica ?prima? che il Papa scriva alla comunità cattolica di un Paese in particolare, ha ricordato il vescovo di Hong Kong, il cardinale Zen Ze-kiun. Le Olimpiadi potrebbero rappresentare anche un?occasione per riallacciare i rapporti tra Repubblica popolare e Vaticano, interrotti da 56 anni. Ma la lettera è sparita dai siti web cattolici che la ospitavano sin dalla sua pubblicazione. E dalla Cina è tuttora impossibile aprire il sito internet della Santa Sede che contiene la versione integrale dello scritto di Papa Ratzinger. «Anche i siti appartenenti alle varie diocesi che hanno riportato la lettera sono stati bloccati», dice padre Gianni Criveller, ricercatore dell?Holy Spirit Study Centre di Hong Kong, uno dei migliori osservatori al mondo sul cristianesimo in Cina. Il testo papale ha comunque raggiunto le comunità cinesi, in alcuni casi è stato inviato via fax o portato a mano. In Cina passare dal web è troppo rischioso.

Info: www.asianews.it


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