Volontariato
A Padova la cena di solidarietà di Santa Lucia. Sotto lo stesso cielo
Mille partecipanti, 160 ragazzi della scuola Dieffe, 60 cuochi per un grande gesto di solidarietà nel segno della campagna lanciata da Avsi “Sotto lo stesso cielo”. Le storie e le parole raccontate da Paolo Massobrio
È iniziato il tormentone del pranzo di Natale e i giornali si sprecano nel consigliare «come sopravvivere alle feste». Ma dove siamo finiti? Me lo sono chiesto il giorno della Cena di Santa Lucia a Padova, dove mille persone si sono sedute insieme per partecipare a un gesto di solidarietà.
Se ne fanno tanti di incontri destinati al bene, ma quello di Padova è stato speciale, non solo per il numero di partecipanti ma per quello che si è ascoltato. C'era la storia di Qaraqosh, cittadina dell'Iraq che ha vissuto tre anni e mezzo di devastazione con l'occupazione dell'Isis. E i volontari Avsi vi hanno costruito un asilo che oggi ospita 533 bambini fra i 3 e i 6 anni e ha ricreato un'economia, perché qui si allevavano polli. «È importante che tornino anche i musulmani perché cristiani e islamici prima vivevano in pace», ha detto il segretario della ong di aiuto internazionale.
Clamorosa è poi la storia di Kibera, baraccopoli di Nairobi in Kenya, dove i volontari di Avsi hanno creato un progetto dedicato al teatro, scoprendo che attraverso la recitazione i ragazzi riuscivano ad esprimere se stessi in un Paese senza tradizione teatrale. Ma i 140 ragazzi che, coinvolti dal regista Marco Martinelli, hanno recitato Dante («Persi nella selva oscura»), hanno trovato una luce. E tutto questo si apprendeva a cena, mentre 100 ragazzi della scuola Dieffe di Padova servivano i commensali, con la medesima attenzione dei volontari dell'Avsi: che si potesse stare bene nello stesso un luogo e «Sotto lo stesso cielo» (titolo che Avsi ha scelto quest'anno per le sue "tende di Natale" di solidarietà.
Il professor Giorgio Vittadini, che ha preso la parola, è stato fulminante: «È un miracolo che in una città italiana, dove secondo il Censis dovrebbe dominare il rancore, ci si metta insieme». E lo fa per commuoversi davanti a una bambina cieca che sorride e canta o a un bambino adottato a distanza: «Per cui la pace inizia dal fatto che tu curi quello lì e non sei tranquillo finché non cresce. Se ognuno di noi si prende cura di un altro – ha detto Vittadini – la somma diventa un popolo». Come i 500 bambini di quella scuola, che vengono educati con amore per diventare persone destinate a costruire la pace. Intanto ognuno faceva la sua parte: l'imprenditore che aveva pagato una quota e i ragazzi che avevano sacrificato il week end perché la cena fosse perfetta. Un modo di avere cura l'uno dell'altro, che dovrebbe diventare l'archetipo di quella che si chiama società. Per questo mi ha un poco disturbato leggere gli articoli sullo stress da pranzo di Natale. Un pranzo dove la preoccupazione è l'ostentazione, mentre il segreto è avere cura dell'altro che sta con te, che siede sotto lo stesso tetto, immaginando che in questa maniera può interessare anche chi vive sotto lo stesso cielo.
Pubblicato da Avvenire il13/12/2018
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