Mondo

A Oporto i turisti fanno il “tour della miseria”

In una città allo stremo, un gruppo di architetti disoccupati organizza delle passeggiate “educative” per mostrare gli effetti della povertà: luoghi abbandonati, strade pericolose, mercati con muri fatiscenti

di Francesco Mattana

Le donne che lavano i panni all’aria aperta: sfregano e risciacquano nell’ acqua fredda proveniente da una sorgente in cima alla scogliera . È una cosa normale in molte parti del mondo . Ma qui siamo in Europa, in uno Stato dell’UE. Siamo nel centro di Oporto, la seconda città più grande del Portogallo.
Eppure, per chi è senza lavoro e non può permettersi di riparare la lavatrice guasta, questo equivalente medievale della lavanderia automatica è l’unica possibilità. 
Passeggiando per il centro-città, non trovi solo negozi chiusi ma anche interi isolati con locali abbandonati. Oporto sta diventando una specie di Detroit europea o una piccola Havana. 
Vero è che, secondo molte persone, il posto ha sempre avuto un’aria malinconia, ma ora si esagera: ogni angolo di strada è un monumento alla crisi economica. 
 
L’architetto senza lavoro Gui Castro Felga (nella foto) sostiene che la politica dell’austerity sta creando danni profondi alla società.
Insieme ad alcuni suoi colleghi, che non se la sentono di lasciare la città e non vogliono alimentare la fuga dei cervelli portoghesi, ha avuto un’idea: creare una sorta di agenzia per accompagnare i turisti alla scoperta di antiche taverne a buon mercato, strade pericolose e mercati con muri fatiscenti. 
Lo scopo di questa iniziativa è mostrare l’impatto delle politiche governative: l’aumento delle tasse e i tagli al welfare hanno modificato gli stili di vita e spinto alla fuga da questi luoghi. È una sfida, la loro, al turismo tradizionale: chi è arrivato fin lì per ammirare i monumenti storici, è chiamato a fare i conti con una realtà che ha visto, solo negli ultimi due anni, la chiusura di duemila aziende
Una di quelle riuscite (per il momento) a sopravvivere, la stamperia Molografica, una volta vantava enormi profitti ma ora si è ridotta a poter mantenere solo undici impiegati. «Il governo mi chiede di creare nuovi posti di lavoro, ma come faccio in queste condizioni?», è ciò che si domanda il proprietario Jorge Mario Gomes. 
 
Anche la storia di Augusto Braga esemplifica lo stato delle cose: costretto a lasciare un lavoro sicuro nel settore della sicurezza, per sbarcare il lunario ora fa il pescatore nel porto di Matosinhos (sette miglia da Oporto), come da antica tradizione di famiglia. «Dopo il licenziamento c’erano solo proposte per lavoretti su terra, ma io preferisco il mare, quindi eccomi qua». C’è una magra consolazione in tutto questo: la cooperativa che si occupa dell’attività di pesca è come una famiglia allargata. E c’è molta tolleranza verso la gente del luogo che, in competizione con i gabbiani, si fionda sui pesci scaricati dalle barche, per rivenderli o mangiarli a pranzo. 
 
Un altro segno della crisi è il ritorno delle sardine in scatola nelle tavole: il pesce fresco, con questi chiari di luna, è un lusso per pochi. Rosa Macaes, che lavora in un conservificio, inserisce una nota polemica mentre, con le mani, è impegnata ad adattare una sardina alla misura della lattina. «Certamente i tempi sono più duri e tutti dobbiamo sgobbare», questo lo ammette. Però aggiunge: «È altrettanto vero  che per chi vuol fare lavori di fatica le possibilità ci sarebbero, ma i più giovani proprio non vogliono saperne».
 
L’ultracentenario regista lusitano Manoel de Oliveira, impegnato in questi giorni a trovare i fondi per la sua ultima fatica cinematografica, sfodera una tempra caratteriale che i suoi connazionali dovrebbero imitare: «Realizzare questo film sarà come vincere una battaglia».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA