Cultura

A Narim, tra i volontari. Nella città di polvere

Afghanistan. Un anno dopo la guerra il resto del paese continua a vivere scollegato dalla capitale. Una ong italiana, l'Aispo, è all’opera. (di Marta Fiore)

di Redazione

Niram (Afghanistan), settembre

Udollaro a Kabul vale 40mila afghani. Nonostante un regime economico di guerra, il tasso d?inflazione non ha subito aumenti rilevanti. Fuori dalla capitale la situazione muta: il rapporto dollaro-afghano varia dagli 80 ai 100mila. I satelliti che ruotano attorno a Kabul (31 province e 344 distretti) presentano facce e caratteristiche molto diverse rispetto al principale polo d?attrattiva afghano. Improprio definirli ?autonomi?, piuttosto ?scollegati? dalla capitale, dal centro gravitazionale dei poteri: politico, dell?Afghan Interim Authority; economico, derivante dall?indotto portato dalle oltre 200 tra ong e agenzie internazionali; militare, dell?Isaf, il contingente internazionale. Esiste Kabul. Esiste l?Afghanistan. Esiste uno scarto comunicativo tra le parti.
«Il rischio di somalizzazioni è drammaticamente reale». è il commento sussurrato, quasi per scaramanzia, da Dusadee Narong dell?Onu.

Gli sminatori all?opera
Questa impressione assume contorni sempre più definiti nel corso dei 200 chilometri che collegano la Mir Bacha Khan Ghazi street di Kabul alla provincia di Baghlan. La strada, costruita dai russi come naturale via d?accesso dall?allora Unione Sovietica, è espressione tangibile di una guerra di fresca memoria.
Nella sua arrampicata sino ai 4mila metri del passo Salang, lo scenario si mantiene pressoché identico nel suo alternarsi di carri armati distrutti, autoblindo riadattate a banconi di surreali mercati di meloni bianchi e spiedini di montone, frammenti di ponti e rimasugli di mitragliatrici da contraerea. Normale corollario iscritto in una cornice di montagne e fiumi impregnati di polvere.
A lato strada, gli sminatori dell?Halo Trust si adoperano nella definizione dei lanes, i sentieri sicuri per evitare quella morte sparpagliata negli anni, costituita da 10 milioni di mine cui si sommano le più recenti e moderne cluster bomb americane inesplose.
Le tracce della guerra sfumano progressivamente nei 50 chilometri finali che portano a Narim. Il deserto dei 3mila metri presenta il suo carattere: la luminosità abbacinante e i vortici di polvere trasportati da raffiche di vento che irrompono nel silenzio, conferiscono all?altopiano una dimensione atemporale.
Uomini a cavallo si trascinano alla ricerca dell?acqua, nell?estrema sfida a una siccità che da due anni affligge l?area. Sola nota di colore rispetto all?uniformità cromatica resa tale dalla polvere che permea e modella il tutto.

Una strada sterrata
Narim non è una città. Ne è l?idea. Il sisma del 25 marzo 2002 l?ha distrutta per il 90%, ha provocato migliaia di morti e privato di una casa 20mila famiglie. Oggi Narim è fatta di polvere, è quasi inconsistente, sfuma.
Il cielo bianco si confonde con la strada sterrata che attraversa la down town. Isolata dall?altopiano e dalle condizioni estreme del clima, ha vissuto immersa in una solitudine molto vicina all?oblio.

Dopo il terremoto
Dal giorno del terremoto il tempo ha ripreso a scorrere anche qui, inesorabile, contando i danni, contando i morti. E nel frattempo a Narim sono arrivati anche i volontari italiani. Tra loro Francesco Fauci, responsabile dei progetti di Cooperazione Italia. Racconta: «Stavamo già programmando interventi in Afghanistan. La gravità del sisma ci ha fatto riesaminare le priorità e si è deciso di intervenire qui». Il progetto di Narim prevede la costruzione di una scuola, di un pozzo e di un centro di salute di secondo livello, ossia con un numero limitato di posti letto, non più di 20 in armonia con il programma del ministero della Sanità locale.
«è importante inserirsi nella loro programmazione senza provocare stravolgimenti. Il centro è periferico. Non è necessario sovradimensionare la struttura», spiega Fauci.
A realizzare il progetto è arrivato Riccardo Corrado, direttore di Aispo, la ong dell?Ospedale San Raffaele di Milano. è d?accordo sulle valutazioni di Fauci: «Questo è un principio fondamentale se si vuole dare un supporto effettivo teso a rafforzare il modello di sviluppo locale e aiutare il processo di autonomia. Altrimenti avranno sempre bisogno di noi». «Nel nostro agire cerchiamo sempre di applicare il mandato che ha ispirato don Verzè, il fondatore del San Raffaele: ?andate, insegnate e guarite?. E l?insegnamento deve adattarsi alla tradizione storica, religiosa e culturale che si incontra», conclude.
Faraydon Kafroshi, architetto, di origine kurda, porta il discorso su una questione molto concreta: «L?acqua. è fondamentale per la sopravvivenza. Ma è anche necessaria per i rituali di ablazione. Per questo abbiamo pensato di dotare la città, oltre che di un serbatoio, di un sistema di canaline per convogliare una parte dell?acqua nella moschea».
E poi continua: «La struttura sarà antisismica. è divertente assistere allo stupore degli operai nell?atto di ?armare pilastri?. Intuitivamente ne comprendono la necessità, ma per loro è un qualcosa di assolutamente nuovo». E mentre ci parla, Kafroshi cammina con il capo cantiere, distinguibile dagli operai perché indossa, al posto del tradizionale cappello tajiko, un turbante azzurro e giallo.

Sullo sfondo la moschea
Il personale impiegato infatti è interamente afghano e, ad eccezione dell?ingegnere originario di Policumbri, sono tuti nativi di Narim o di villaggi vicini. L?area del cantiere è circondata da tende militari che assolvono la duplice funzione di mensa e dormitorio.
Sullo sfondo si intravede la moschea dai contorni indefiniti per la densità di polvere. «L?importante del lavoro della cooperazione è sostenere e rafforzare il processo di pace», afferma Fauci guardandosi attorno. E intanto si lascia sorprendere ad immaginare l?opera completata su questa terra polverosa, silenziosa, sofferente. Tra questi volti che aspettano segni concreti sui quali costruire la speranza di un domani.

Un anno
7/10 – Iniziano le operazioni militari Usa
9/10 – Primo errore nei bombardamenti, colpita sede di agenzia Onu, 4 morti
13/10 – Usa ammette: bombe su civili
23/10 – Bombe su moschea e ospizio
25/10 – Ex leader afghani: «Basta bombe»
2/11 – Bush: «Niente stop per Ramadan»
19/1 – Assassinata Maria Grazia Cutuli
20/11 – Bush: «Dopo talebani, Saddam»
23/11 – Cri e Onu denunciano massacri
5/12 – Accordo a Bonn tra forze afghane per un governo provvisorio e una forza di pace
14/12 – Bush: «Prenderemo Osama»
16/12 – Cade Tora Bora, ma non c’è Osama
21/12 – Bombe Usa, ancora vittime civili
22/12 – S?insedia a Kabul il governo Karzai
31/12 – Ancora vittime civili: sono più di 100 nel 2001
4/1 – Primo soldato Usa che cade per fuoco nemico
8/1 – Emergenza profughi a Kandahar
11/1 – Prigionieri talebani a Guantanamo
17/4 – Torna a Kabul l’ex re Zahir Shah
19/6 – Nasce il governo Karzai
1/7 – Oltre 100 civili uccisi da bombe Usa
19/7 – Bush: «Finire lavoro iniziato»
5/9 – Attentato sventato a Karzai

Info
Per conoscere i progetti dell?Aispo,
www.aahsr.org/amici/02_amici/middle/middle_01.html

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