Non profit

A Milano la povertà decolla da Linate

Di notte lo scalo si popola di clochard

di Pietro Vernizzi

Sono in 25 e hanno fra i 35 e i 65 anni. Tutti italiani con un lavoro
o una pensione. Molti mariti separati: «C’è più privacy qui che in dormitorio. E poi i bagni sono puliti» Sono italiani, hanno tra i 35 e i 65 anni e spesso una pensione o un vero e proprio lavoro. Ma la sera invece di tornare nelle loro case prendono le ultime corse dell’autobus 73 da San Babila e vanno a passare la notte sulle panchine dell’aeroporto di Linate. Verso le 23, quando defluisce la marea di passeggeri, accompagnatori e tassisti che durante il giorno hanno affollato lo scalo, quelli che restano sono una nuova generazione di clochard. Perfettamente irriconoscibili, almeno fino al momento in cui rimangono soli nelle sale d’attesa e si sdraiano su due o tre sedie del bar, coprendosi con un plaid e usando la ventiquattrore come cuscino. Sono 25 persone, tutte nate nel nostro Paese, che non amano i dormitori comunali dove regnano la sporcizia e le malattie infettive. Solo mezz’ora prima che l’aeroporto si svuoti, due signori dall’abbigliamento quasi uguale conversano davanti all’ingresso di Linate. Uno è un dipendente Sea, l’altro un clochard, ma è impossibile distinguerli. Tra i due quello con il titolo di studio più alto è il clochard. «Mi sono laureato in ingegneria elettronica a Roma e ho lavorato per oltre 30 anni per multinazionali come Westinghouse in Germania e Philips in Olanda», racconta Nello, 65 anni. «Da settembre dormo nell’area partenze dell’aeroporto perché non ce la faccio più ad arrivare a fine mese. Ho chiesto di ricevere la pensione, ma nel frattempo non prendo un centesimo. E anche con 700 euro di sussidio è impossibile riuscire a pagare 500 euro di affitto e sostenere le altre spese».
Il più distinto tra i clochard di Linate è però Franco, un ex alpino che ha prestato servizio nella Guardia di frontiera. Mentre parla al cellulare sulla panchina potrebbe sembrare un turista, ma verso mezzanotte comincia anche lui a sistemare le sedie per coricarsi. «Nella mia vita ho girato il mondo», confida. «Ho fatto per anni l’autista di pullman, oggi sono vedovo e ho due figli di 30 e 35 anni che abitano in un’altra città. Sono rimasto per dieci anni in lista d’attesa per le case popolari, poi mi sono rassegnato e ho deciso che la mia nuova residenza sarebbe stata Linate». Matteo invece ha 42 anni e passa la serata a dare indicazioni ai passeggeri che non riescono a trovare il loro gate di imbarco. «Fino a un anno fa avevo casa e lavoro», rivela, «facevo il cameriere a Ravenna e parlavo l’inglese alla perfezione. Poi è arrivata la crisi e mi hanno licenziato da un giorno all’altro. Gli assistenti sociali mi hanno proposto un “programma di reinserimento”, come se fossi un drogato». In mezzo ai molti mariti separati c’è una coppia che vive insieme: Ugo, 64 anni, e Donatella. «Tra le persone che passano la notte nello scalo c’è anche chi durante il giorno svolge un lavoro normale», spiega Ugo, «io invece ho un sussidio e la mia compagna la pensione d’invalidità: insieme arriviamo a 850 euro al mese».
Antonio, 55 anni, pur essendo un cittadino italiano, per lo Stato è soltanto un fantasma. «Da mesi ho perso il portafogli con i documenti e da allora è come se non esistessi più», si lamenta. «Prima vivevo in una casa a Vigevano, ma siccome non riuscivo a pagare l’affitto mi hanno sfrattato, tolto la residenza e imposto il blocco anagrafico».
Tutti usufruiscono dei pasti caldi che l’Opera San Francesco per i poveri mette a disposizione in corso Concordia e sottolineano di apprezzare molto questo servizio gratuito, lo stesso non si può dire per i posti letto gestiti da Palazzo Marino. «C’è più intimità qui che in quelle camerate da 150 persone, e poi almeno non rischiamo di prendere la scabbia e i bagni sono decenti», osserva Nello. Per chi al mattino deve andare al lavoro dopo avere passato una notte su una panchina, le toilette pulite possono fare la differenza. Verso le 6 infatti, prima che inizino ad arrivare i passeggeri, gli homeless si alzano e vanno a lavarsi, facendosi la barba con cura. Poi prendono la ventiquattrore, che durante la notte è servita da cuscino, e si dirigono alla fermata dell’autobus con passo affrettato, come tutti i milanesi.


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