Welfare
A Messa i “luoghi appositi” per le persone con disabilità sono discriminatori
Ecco la lettera che il Movimento Apostolico Ciechi ha inviato alla Cei e al Governo. Firmano la lettera il Presidente nazionale Michelangelo Patané e l'assistente nazionale don Alfonso Giorgio
di Redazione
Lo scorso 7 maggio il Governo Italiano e la Conferenza Episcopale Italiana hanno sottoscritto un protocollo per “la ripresa delle celebrazioni con il popolo”.
Siamo contenti che i fedeli possano tornare a partecipare alle celebrazioni nelle chiese, in comunione anche fisica nel rispetto delle misure precauzionali imposte dall’attuale emergenza sanitaria. La lettura del protocollo ha però suscitato in noi grande sorpresa e sconcerto per il contenuto della norma riguardante le persone con disabilità.
Ci riferiamo al punto 1.8 del protocollo che così testualmente recita: «Si favorisca, per quanto possibile, l'accesso delle persone diversamente abili, prevedendo luoghi appositi per la loro partecipazione alle celebrazioni nel rispetto della normativa vigente». Parlare di “luoghi appositi” per le persone con disabilità significa tornare indietro di almeno mezzo secolo. Appartiene infatti a un passato ormai lontano l’idea di prevedere, per le persone con disabilità, “ambienti separati”, “percorsi speciali”, “luoghi appositi”.
È invece da tempo nel comune sentire il ritenere che la dignità di persona appartiene a tutti, nessuno escluso, e che le persone con disabilità sono cittadini a tutti gli effetti, membri a pieno titolo della comunità ecclesiale. È ormai pacifico che tutte le comunità, civili ed ecclesiali, sono chiamate ad essere accoglienti, ospitali, aperte alle differenze, in una parola inclusive. Ogni norma o misura riguardante le persone con disabilità deve così tendere a garantire le pari opportunità, evitando sia privilegi sia soluzioni ghettizzanti.
Tale è, invece, quella prevista dal punto 1.8 del protocollo: il “luogo apposito” è una discriminante che esclude palesemente le persone con disabilità dal resto della comunità dei fedeli. La nostra sorpresa e il nostro sconcerto sono stati anche determinati dal fatto che non si comprendono le ragioni per cui, nel protocollo, vi è una norma riguardante specificamente tutte le persone con disabilità, ma non vi è alcuna disposizione riferita alle persone, come gli anziani, che sono considerate, anche normativamente, soggetti a rischio per il coronavirus. In questa sede desideriamo peraltro ricordare, molto sinteticamente, che le persone con disabilità non sono persone malate.
Esprimiamo infine sorpresa per il contenuto del punto 1.8 del protocollo perchè siamo consapevoli che, in Italia, lo Stato e la Chiesa hanno più volte dimostrato, anche in questo periodo di pandemia, grande attenzione nei confronti delle persone con disabilità e delle loro famiglie, promuovendone pari opportunità, inclusione e partecipazione attiva. Da cittadini italiani e da appartenenti alla Chiesa di Dio chiediamo quindi al Governo Italiano e alla Conferenza Episcopale Italiana che, prima del 18 maggio, data di entrata in vigore del protocollo, sia abrogata, o almeno modificata, la norma del punto 1.8 che, nell’attuale formulazione, è oggettivamente discriminatoria e storicamente superata (anche nell’espressione “persone diversamente abili”).
Per la modifica della norma ci permettiamo proporre il seguente testo: «Le persone con disabilità partecipano come tutti alle celebrazioni nel rispetto della normativa vigente». Confidiamo nell’accoglimento della nostra richiesta nella certezza che in tutte le parrocchie d’Italia, in sede di attuazione del protocollo, si osserveranno le norme dallo stesso previste a tutela della salute con responsabilità e buon senso, nel pieno riconoscimento della dignità di ogni persona e del diritto di tutti, senza alcuna esclusione o discriminazione, ad esercitare la libertà religiosa ed a partecipare al culto.
Photo d'archivio, by Mateus Campos Felipe on Unsplash
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