Welfare

A Londra ha aperto la prima “psychosis cannabis clinic”

La strada verso un approccio lucido e chiaro alla questione "cannabis" è ancora lunga, ma da Londra arrivano buoni segnali e un'esperienza che raccontiamo in questo articolo

di Giuseppe Lorenzetti

Stormzy, pseudonimo di Michael Ebenazer Kwadjo Omari Owuo Jr., è una delle voci rap più influenti del panorama britannico. Classe 1993, nato e cresciuto a South London, origini ghanesi, da più di tre anni è sulle vette delle classifiche musicali della nazione. Ci voleva uno come lui per dire ciò che in pochissimi vogliono sentirsi dire. In occasione di un suo intervento rivolto alla Carney’s Community di Londra, lo scorso Maggio, il cantante ha raccontato di aver smesso di fumare cannabis e ha rivolto un messaggio ai giovani, senza troppi giri di parole: “Non fa bene alla vostra salute mentale”.

Così, in un panorama sociale e culturale, dove siamo costantemente bombardati da messaggi confusivi, finalmente una voce fuori dal coro può fare breccia nella consapevolezza di moltissimi giovani (e meno giovani), che ogni giorno si ritrovano nella condizione di dover prendere una scelta, privi degli strumenti e delle conoscenze necessari per decidere. La testimonianza di Stormzy non è certo la soluzione al problema, che ha radici profonde e subdole, ma è pur sempre un segnale positivo.

Nel frattempo, sempre nella capitale inglese, da meno di un anno è stata aperta, sotto la guida di Marta Di Forti, la prima “psychosis cannabis clinic” in Europa. Di Forti da anni affianca la sua professione clinica di psichiatra, esperta in primi episodi psicotici, alla ricerca scientifica sul collegamento tra uso di cannabis e psicosi. Il progetto della cannabis clinic nasce dalla comprovata esigenza di trattare i primi episodi psicotici di pazienti consumatori di cannabis e il loro uso di questa sostanza in maniera strettamente integrata.

Il collegamento tra uso di cannabis e psicosi è stato trattato dettagliatamente in un precedente articolo che ha destato reazioni fortemente contrapposte. Da un lato testimonianze di genitori, parenti e amici di persone che sono rimaste gravemente coinvolte nei problemi psicologici legati all’uso di cannabis e derivati. Dall’altro la rabbia di alcuni consumatori che si sono sentiti offesi dalla realtà dei fatti e il generale tentativo di sminuire l’entità del problema.

Di Forti ci ha confermato che il tema affrontato è un vero e proprio tabù e tra i motivi di confusione c’è la questione delle proprietà terapeutiche: “Il fatto che alcune tra le quasi cento sostanze presenti nella cannabis abbiano, se trattate in un certo modo e prescritte in specifici dosaggi, delle proprietà terapeutiche su pazienti affetti da specifiche patologie, non ha nulla a che vedere con il fatto che la cannabis venduta per strada e assunta ogni giorno da milioni di persone possa avere importanti implicazioni sulla salute mentale. E’ come dire che, siccome esistono alcuni farmaci analgesici oppiacei usati per la terapia del dolore, di conseguenza l’eroina non fa male. E’ ovviamente un’assurdità, che tuttavia purtroppo sta alla base di molti pregiudizi”.

La prevalenza dell’uso di cannabis nella popolazione, la sua storia e gli interessi economici collegati ad essa la rendono purtroppo un tema dal carattere politico, ma i ragazzi e le ragazze che, a loro insaputa, in un clima di totale disinteresse e leggerezza, incorrono in enormi rischi per la loro salute, non hanno nulla a che fare con la politica. “Il nostro contributo e il nostro lavoro” – ci racconta Di Forti – “non nascono da un’ideologia o da una posizione pro o contro legalizzazione, bensì da un’urgente esigenza clinica.

A noi, in quanto medici in primis e ricercatori, interessa fare chiarezza e informare sui rischi, quasi sempre sottovalutati, legati all’uso di questa sostanza sulla mente e sul corpo umano, in modo che le persone possano prendere scelte il più possibile consapevoli, sia a livello personale, che istituzionale.”

Purtroppo ideologie e pregiudizi sono storicamente difficili da scalfire. L’attenzione mediatica verso l’argomento è scostante e l’educazione nelle scuole quasi nulla, esclusi i virtuosi e solitari tentativi di pochi, che per di più vengono tacciati di essere proibizionisti e conservatori. La strada verso un approccio lucido alla questione è ancora lunga e nel frattempo la disinformazione continua a mietere “vittime”.

Da Londra si intravedono barlumi di speranza, nel lavoro del team guidato da Marta Di Forti e nella testimonianza di un rapper che sa parlare ai giovani.

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