Mondo

A Kathmandu lotta feroce tra maoisti e polizia

La guerra tra opposizione comunista e governo è senza mezzi termini. E non si vedono vie di uscita. Mettendo a rischio il turismo, prima risorsa del Paese

di Redazione

Il turismo in Nepal è ormai cruciale per l’equilibrio economico, poiché genera l’11% dei guadagni provenienti dallo scambio con l’estero. Le stime ufficiali sono a dir poco sbalorditive per un Paese di non più di 22 milioni di abitanti: si parla di 400.000 turisti, quasi esclusivamente occidentali, che ogni anno raggiungono il tetto del mondo per muoversi sui sentieri e per i piccoli villaggi seminati tra la capitale Kathmandu e la seconda città più popolata, Pokara. Anche i tour operator italiani propongono ormai a cifre ragionevoli pacchetti “tutto compreso”, ignorando, però, un piccolo particolare: in Nepal c’è di fatto la guerra civile da più di cinque anni. Una guerra dimenticata, iniziata nel febbraio del 1996 quando il Partito comunista nepalese (maoista) all’opposizione dichiarò la «guerra del popolo», scegliendo la via armata per abbattere l’attuale monarchia costituzionale sul modello inglese e instaurare una repubblica ispirata al sistema cinese. Cinque anni in cui sono state uccise 1.658 persone di cui 344 poliziotti, impegnati nella durissima repressione dell’opposizione armata. La polizia, forte dell’enorme potere datole dal Public security act (Psa), una legge speciale approvata dal Partito di Girija Prasad Koirala (il partito conservatore al governo), può detenere segretamente per accertamenti prigionieri ritenuti «agenti destabilizzatori dell’ordine pubblico» fino a 90 giorni: spesso la detenzione avviene in luoghi non ufficiali e si favorisce la tortura per ottenere informazioni. Il clima si è inasprito ulteriormente nelle ultime settimane, in seguito al massacro di circa 70 poliziotti da parte della guerriglia maoista che ha risposto con una prova di forza alle misure repressive, imposte progressivamente dal governo a partire da febbraio. Tra le misure c’è anche il dispiegamento di una forza paramilitare di 15 mila uomini, voluta dal premier Koirala «per garantire il rispetto delle leggi, l’ordine e il potere in tutte le regioni amministrative del Paese», e una corte speciale per i processi dei ribelli maoisti. Un sistema giudiziario che, però, pare procedere a senso unico dimenticando i ripetuti e documentati casi di violazione dei diritti umani e tortura compiuti dalle forze di polizia che sfruttano un clima d’impunità diffusa. Anche l’istituzione nel maggio scorso da parte del governo di una Commissione per i Diritti umani, che dovrebbe provvedere ad una protezione istituzionale e a una lotta all’impunità, sembra, a detta delle maggiori associazioni per i diritti umani sia nepalesi che internazionali, solo un falso paravento. Quella che manca sembra sia la volontà di un serio e costruttivo dialogo che possa permettere al Nepal di crescere e di perdere la nomea di uno dei fanalini di coda del mondo. Un paese, il Nepal, dai mille volti: da quello del suo re Birenda Bir Bikram Shah Dev, che promulgò una nuova Costituzione che legittimava un sistema parlamentare solo il 9 aprile1990, in seguito alle rivolte scoppiate in tutto il Paese per protestare contro la corruzione dilagante e la mancanza di diritti civili soprattutto per i contadini che rappresentano l’80 per cento dei lavoratori, e che in 500 mila circondavano inferociti le mura del suo castello. Poi c’è il Nepal del primo ministro Khrishna Prasad Battharai, che per primo ha guidato il suo partito, il Nepal Congress Party, fratellino minore dell’indiano Congress Party, a governare il Paese insieme a quei comunisti, che oggi combattono il suo successore, Girija Prasad Koirala. Un uomo, quest’ultimo che, insabbiato abilmente lo scandalo per l’acquisto di aerei dall’Air Lauda per la compagnia di bandiera nepalese, sta combattendo una guerra spietata a distanza con Pushpa Kamal Dahal, alias Prachand, leader dei guerriglieri maoisti. Prachand è un novello Mao che segue il maestro in tutto, purtroppo anche nel regime di terrore che instaura nei distretti governati (soprattutto Rolpa, Rukum e Mustang) basandosi sulla caccia al delatore che, se scoperto, viene impiccato ed esposto nella piazza del paese come esempio per tutti. Naturalmente la risposta delle forze di polizia non è da meno: secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International per la tortura si fa ricorso a tecniche crudeli, come il falanga, ripetuti colpi sulle piante dei piedi con bastoni di bambù, o il tephone, improvviso e contemporaneo colpo inferto su entrambe le orecchie del prigioniero, o stupri e utilizzo di catodi elettrici nelle parti intime. Tutto questo mentre il turista, ignaro, si reca a visitare il regno della pace e della spiritualità, ricercando quell’equilibrio interiore che pare sfuggito al popolo nepalese.


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