Welfare

A grandi passi verso la nuova rete del welfare

La vicepresidente Claudia Fiaschi illustra le tappe della metamorfosi dei consorzi, partita a luglio con la convention di Montecatini: «Dobbiamo diventare gestori di sistemi e non più gestori di s

di Redazione

Un altro passo verso un nuovo sistema di ?essere rete?. L?assemblea annuale che porta a Roma i presidenti e i delegati dei 79 consorzi che fanno parte di Cgm ha un significato particolare. A luglio, alla convention di Montecatini, era stato presentato il progetto di Welfare Italia, un marchio grazie al quale il sistema fa un salto in avanti per raccogliere le nuove sfide. Questo chiedeva però una revisione del patto associativo, per stringere i legami e creare le premesse di questa crescita collettiva. «Il cambiamento del welfare chiedeva innanzitutto un cambiamento nostro»: ha idee chiare Claudia Fiaschi, vicepresidente di Cgm, che con passione ed entusiasmo vive questa transizione stando in cabina di regia. I primi passi del cambiamento sono le quattro società di scopo che su aree strategiche fanno da riferimento a tutto l?universo Cgm: dopo Comunità solidali (psichiatria), Accordi (ambiente) e Mestieri (lavoro) si aggiunge Luoghi per crescere, dedicato al grande tema dell?educazione. Strategia comune ma libertà d?azione: questa in sintesi la formula. Spiega Claudia Fiaschi: «La direzione strategica è di Cgm, ma senza che questo si traduca in nessun modo in controllo sui consorzi». E quali sono i vincoli proposti nel nuovo patto associativo? «Sono sostanzialmente due. Il primo è quello di essere più impresa, di avere più capacità nel trovare risorse. Il che si traduce in alcuni vincoli sui livelli di capitalizzazione. Il secondo invece è quello di essere agenti di sviluppo comunitario, coinvolgendo nella compagine sociale alcuni attori del territorio, sia pubblici che privati». Poi c?è un terzo suggerimento, che tocca la questione il più importante. «Il 90% del nostro valore è nelle persone. Quindi l?investimento sulla formazione è cruciale. In particolare per i dirigenti di rete. Ma è importante anche la riflessione sui percorsi interni. La scommessa deve essere quella di tenere alta questa tensione a tutti i livelli, motivare le persone, far permeare innanzitutto al nostro interno la nostra mission che è quella dello sviluppo del welfare comunitario». La chiarezza della visione è la componente fondamentale di questa sfida. E la visione si sintetizza in una formula: passaggio da un welfare che eroga a un welfare che promuove. «In sostanza dobbiamo diventare gestori di sistemi e non più gestori di servizi. Per questo la maturazione del livello imprenditoriale diventa un passaggio irrinunciabile. Il welfare che promuove, che anticipa i bisogni, che immagina le risposte comporta anche un rischio tipico dell?essere impresa. Meno garanzie, quindi, ma più possibilità di ridisegnare i rapporti sociali». Va in questa direzione il richiamo a una maggiore capitalizzazione? «Sì. Anche se il patto associativo stabilisce dei parametri, non dei vincoli. Ma ci sono anche altri livelli su cui si gioca la nostra sfida». Per esempio? «Quello della condivisione delle conoscenze. Per facilitare questa dinamica incoraggeremo la crescita dei poli territoriali. Connessa a questa sfida c?è anche quella della comunicazione. Abbiamo risistemato il portale Intranet, che arriva a 35mila cooperatori. La rete ha iniziato a rispondere: abbiamo già 50mila contatti settimanali»


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