Famiglia

A Fidel ho rifatto la casa

Negli anni Venti era la zona della prostituzione, poi Batista lo trasformò in centro commerciale. Con la Rivoluzione è diventata quasi una bidonville.

di Carlotta Jesi

“Quando in una stanza di trenta metri quadrati vivono stipate nove persone, l?architettura torna a essere necessaria. Vera”. A conquistare Elisabetta Alé, architetto milanese che a Cuba atterra per la prima volta in una sera di marzo del 1997, a ventisei anni, sono fin dal primo istante le strade strette, la gente e le case fatiscenti dell?Avana vecchia.
Il cuore più antico e più povero della Fidelisima Habana, dichiarato patrimonio dell?umanità dall?Unesco nel 1982, dove Elisabetta avrebbe dovuto fermarsi solo un paio di mesi per trasformare in un progetto concreto il titolo della sua tesi di laurea: recupero urbanistico di un edificio industriale da trasformare in un centro sociale a San Isidro.
«Il quartiere più disastrato dell?Avana vecchia», spiega lasciandosi scappare qualche parola in spagnolo e indicando un triangolo di case aggrappate una all?altra tra il vecchio porto e la stazione sulla pianta del centro storico della città, «che negli anni Venti diventa il quartiere della prostituzione, il presidente Batista cerca di trasformare in un centro commerciale trent?anni più tardi, la Rivoluzione del 1959 sottrae al furore costruttivo delle capitali sudamericane che cercavano di assomigliare ai Paesi industrializzati e, nel 1960, una riforma urbanistica che decreta l?usufrutto gratuito degli edifici abbandonati e in condizioni abitative inadeguate trasforma nel rifugio dei più poveri dell?Isola».
Oltre duemila cubani bianchi e neri, soprattutto operai del porto trovatisi senza lavoro dopo l?embargo degli Stati Uniti, che oggi vivono assiepati tra le ciudadelas di San Isidro. Grandi case coloniali unifamiliari con un patio centrale che i proprietari abbandonano nell?Ottocento per trasferirsi in quartieri più ricchi a ovest della Baia, le famiglie più povere di Cuba trasformano in ?alveari? di stanze e stanzette ed Elisabetta, finita la tesi, è rimasta all?Avana per riprogettare insieme ai suoi abitanti e ai colleghi del Taller di San Isidro. Un laboratorio multidisciplinare di architetti, sociologi, psicologi e tecnici creato nel 1996 per progettare e realizzare il recupero urbanistico e sociale del quartiere di San Isidro.

Calle 144: inizia la sfida
Esattamente tre anni prima che l?Historiador dell?Avana Eusebio Leal sottoscrivesse con la Regione Lombardia un accordo per ricostruire il centro storico dell?Avana che a Cuba porterà investimenti per 120 miliardi e alle imprese lombarde 60 mila metri quadrati di terreno edificabile.
«Nella ricostruzione di San Isidro, il Taller ha voluto fin da subito coinvolgere i suoi abitanti», spiega Elisabetta. Che al laboratorio più conosciuto della Fidelisima ormai lavora da due anni sotto la guida di Ramón Collado. Il coordinatore tecnico del Taller che le ha insegnato a considerare l?intervento urbano e il lavoro sociale come un unicum e , proprio a lei, ha chiesto di mettere in piedi il primo ?cantiere? di progettazione partecipata nell?isola di Cuba.
Un?avventura che inizia in Calle San Isidro 144. Dove una casa statale lunga e stretta a un piano, 27 abitanti iscritti ai registri statali e almeno il doppio effettivamente residente in dieci metri per ventotto, sta cadendo a pezzi. E, al primo sopralluogo, lascia senza fiato perfino gli esperti colleghi cubani di Elisabetta: Manuel Caipel, un sociologo di 30 anni, e la psicologa ventottenne Smilet Mauri.
«Della vecchia costruzione coloniale», scrivono nel loro primo rapporto, «è rimasta solo la facciata. Nessuna traccia del patio, ricoperto di ?scatolette? di lamiera attaccate al muro e trasformate in servizi igienici infestati dai topi, stanze di pochi metri quadrati senza luce, aria e un briciolo di privacy». Oltre, ovviamente, a sette famiglie spaventate e assolutamente ignare delle intenzioni dell?équipe del Taller. Da dove cominciare?
«Dal fatto che non volevamo consegnare a queste persone una casa ?chiavi in mano?, come li aveva abituati lo Stato, ma coinvolgerle nella riprogettazione del posto in cui in futuro avrebbero vissuto. Il resto era tutto da inventare», spiega Elisabetta. Che di progettazione partecipata fino a quel giorno aveva letto solo sui libri dell?Università. E per trasformare la teoria in pratica, all?Avana, ha dovuto aggirare ?problemi tecnici? che qualcuno a Cuba imputa alla Rivoluzione e molti all?Emargo.«Per sostituire il toner della stampante e comprare nuove risme di carta, il Taller poteva metterci anche dei mesi. Ma il tempo di aspettare proprio non c?era, e così mi sono dovuta arrangiare». Con collages manuali al posto delle fotocopie, rifornimenti di materiale sul mercato nero invece che in colorificio e un metodo di lavoro inventato per l?occasione.

Diteci quanti siete e di cosa avete bisogno
Primo passo, comunicare agli abitanti di Calle San Isidro 144 cosa stava per accadere. «Obiettivi principali di questo progetto», recita il volantino di carta che Elisabetta, Manuel e Mauri distribuiscono alle sette famiglie della vecchia casa coloniale, «sono migliorare la sicurezza dei residenti, recuperare gli spazi comuni e riscattare questo edificio di grande valore culturale. Per favore scrivete negli spazi bianchi che seguono di quanti anziani e bambini è composta la vostra famiglia e quali sono i vostri problemi fondamentali». Una settimana dopo i volantini vengono raccolti, e il risultato non è subito quello sperato. «Qualcuno ha scritto che gli mancava una piastrella. Non avevano capito che bisognava ricostruire tutto da zero», spiega Elisabetta. Che decide di convocare una riunione nel patio della casa e, davanti alle facce smarrite dei suoi ascoltatori, dichiara: «nessuno vuole cacciarvi via. Anzi, se lavoreremo insieme, alla fine tutti avrete metri quadrati, luce, aria e un po? di privacy in più». Condizioni di vita più umane, insomma. Su cui il Taller inizia a lavorare girando una per una tutte le stanze della casa, imparando a conoscere chi ci abita e, soprattutto, disegnando con la massima precisione tutti i mobili che le ?arredano?. «Perché», spiega Elisabetta, «sarebbero stati proprio quei mobili, proprio quelle persone, a entrare negli appartamenti che dovevamo costruire».
Con questa idea, e le voci, gli occhi e tutte le necessità di Calle San Isidro 144 ben stampate in testa, Elisabetta inizia dunque a riprogettare la casa. Mantenendone la facciata, recuperando il vecchio patio comune e alzando l?intera struttura di due piani. Una fatica lunga un mese che commenta così: «niente al confronto delle mille piccole difficoltà che avremmo dovuto affrontare di lì a poco. Quando, uno dopo l?altro, gli abitanti della casa hanno cominciato a venire al Taller per ?controllare? dove avrebbero vissuto e sono cominciati i problemi veri».

L?altarino di Zoila, la ?santera?
Primo fra tutti il fatto che, per chi viveva in Calle San Isidro 144, una piantina in scala non era proprio la cosa più semplice da decifrare. «Con Manuel e Mauri allora abbiamo costruito un modellino tridimensionale», racconta Elisabetta, «e, insieme a ciascun abitante, ?riarredato? tutte le stanze con i mobili che avevamo disegnato e quindi realizzato con del cartoncino nero». Ma le difficoltà non sono finite. In una casa abitata da bianchi e neri, poveri e meno poveri, single e padri di famiglie con anche 12 componenti e uno stipendio di 6 dollari al mese, il vero problema sono le gelosie. Invidie che il Taller risolve con semplici regole – anziani ai piani bassi e giovani in alto- e molta attenzione alle tradizioni, leggende, valori e religioni locali. Come quelli di Zoila. «Una ?Santera?», spiega Elisabetta, «che esercitava la sua religione a metà tra il cattolicesimo e lo spiritualismo africano proprio in un punto della casa che dovevamo ricostruire. Abbattere il suo altare dove la maggior parte del quartiere andava a pregare, avrebbe voluto dire inimicarci tutta San Isidro». Risultato? Alla fine Zoila si è tenuta il suo altare. E gli abitanti di San Isidro 144, che durante il lavori di ristrutturazione verranno trasferiti in alloggi provvisori ancora da individuare, hanno imparato a prendersi cura di una casa che non hanno mai considerato ?loro?.

San Isidro
Della struttura coloniale c?è solo la facciata: il patio è di lamiera,le stanze sono infestate dai topi

Elisabetta
Non volevamo consegnare loro una nuova casa ?chiavi in mano?come li aveva abituati lo Stato…

Le regole
Anziani ai piani bassi, i giovani in alto. E molta attenzione alle tradizioni e ai valori locali

Que linda es Cuba? Qui si vive nei cunicoli

Alloggi collettivi, suddivisi per sesso, senza un briciolo di privacy e totalmente privi di strutture igieniche adeguate. Sono le Viviendas de transito di Cuba. Case provvisorie che secondo i piani di recupero dell?Avana vecchia avrebbero dovuto offrire un riparo temporaneo e degno agli abitanti degli stabili in ricostruzione e invece oggi sono un vero e proprio incubo di cunicoli bui e maleodoranti per chi è costretto a viverci. «Colpa degli scarsi fondi a disposizione ma, soprattutto, dell?ottica di pura emergenza con cui sino a oggi si è guardato agli alloggi di Transito», denuncia il Taller di San Isidro. Che per risolvere il problema, ed evitare che i cubani privi di un?adeguata sistemazione si trasferiscano in edifici pericolanti e pericolosi, ha preparato un preciso piano d?azione. Innanzitutto ridefinendo le caratteristiche architettoniche e sociali che un alloggio di transito ?umano? deve avere: almeno 15 metri quadrati per famiglia, servizi di bagno e cucina costituiti almeno da una tazza, uno scarico nel pavimento e una fonte d?acqua. Su dove questi alloggi debbano trovarsi, il Taller non ha dubbi: «nel quartiere di residenza delle persone che deve ospitare, per facilitare l?integrazione e la partecipazione degli abitanti alla riabilitazione del territorio».
Per informazioni: Taller de San Isidro, calle Habana 1019, Habana Veja, Cuba. Ramon Collado, Tel. +0053-7-617242

L?isola in cifre

Superficie 110.018 Km2
Abitanti 12 milioni circa,
di cui 1/3 vive all?Avana
Età media popolazione 30 anni
Etnie 66% bianchi,
33% neri e mulatti,
1% asiatici
Speranza di vita 75 anni
Mortalità infantile 1%
Analfabetismo 4,3%
Istruzione secondaria 73,5%
Istruzione universitaria 13,9%
Debito estero 9.160 mil. di dollari

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