“Il dubbio è uno dei nomi dell’intelligenza” ebbe a scrivere Jorge Luis Borges. “Ma la certezza è più notiziabile” potremmo ribattere oggi. Ho appena finito di scrivere il post dedicato alla lettura del mondo e mi imbatto in questo articolo di Pierluigi Battista.
Deve essere diventata una moda fra i giornalisti che contano riportare le proprie inamovibili certezze (mai che esercitino il dubbio, appunto, o la complessità del tutto) dopo aver guardato velocemente il mondo che si trova in quel momento sotto ai propri occhi. Ce li vedi a passeggiare per le strade assorti nell’interpretare tutti i movimenti intorno a sé prima di andare a cena?
Va bene: c’è sempre meno tempo per scavare, approfondire, viaggiare, fare inchiesta, ma questo vizio mutuato dalla politica -soprattutto quella locale- di parlare di tutto come se tutto fosse lo spazietto che circonda le proprie certezze e esperienze non rende proprio onore al giornalismo italiano.
Battista ce l’ha con il cibo slow food e affini e scrive che “nel Rione Monti, un intrico di stradine di relativamente piccole dimensioni, luogo centrale di Roma e sempre più meta della movida capitolina, accanto a un numero stratosferico di pizzerie, enoteche e insalaterie con uso del “nostro oijo”, di trattorie “tradizionali” dove servono eccellenti carbonare e lasagne squisite, frutto della nostra terra, anzi territorio, anzi territori, ovviamente “a chilometro zero” (un po’ sciapetto) abbiamo: ben quattro ristoranti indiani, tre ristoranti cinesi (con take away e delivery service), tre giapponesi, un brasiliano, un argentino, un “fusion” internazionale, svariate kebabberie, più, nei paraggi, un McDonald’s e un Burger’s King (dove, secondo mia figlia, fanno patatine migliori e più croccanti)”.
Bella questa libertà di scelta, la libertà di scegliere fra le patatine del Burger’s King e quelle del McDonald’s. E di sentirsi pure scomodi a dire che quelle del Burger’s sono più croccanti in attesa della ritorsione del gigante McDonald’s.
In onore a questa vera libertà, si può essere anche pentiti da una vita di slow food proprio oggi che tanto va di moda. Perché bisogna essere scomodi. Ora io capisco che i grandi giornalisti abbiano spesso ritmi assurdi, molta fame e poco tempo. Ma la differenza fra una scelta o un’opinione banalmente personale e un articolo che viene inevitabilmente letto da migliaia di persone dovrebbe spingere a scrivere qualcosa di meno e indagare qualcosa di più se proprio si vuole.
Tanto più se si ha l’ambizione di assurgere a notizia ciò che distrattamente passa sotto i nostri occhi.
Poco male direte voi, se ne leggono tante e poi nel mondo slow food che opinione vuoi che abbiano di Battista.
È vero. Siamo grandi e con abbastanza ormai pelo sullo stomaco. Pensate che il vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini ha concluso un suo editoriale, peraltro interessante, sulla Fiat e Marchionne affermando che “in cinque giorni di permanenza a New York, purtroppo non ho visto in giro un solo esemplare della mitica «utilitaria» di casa Fiat. Sono io che ho sbagliato occhiali, o è Marchionne che ha sbagliato i calcoli?”. Insomma, almeno dire che tragitto ha fatto!
Ora mi affaccio dalla finestra della mia città di provincia pure io per scrivere qualcosa di interessante.
Per fortuna che è buio, altrimenti chissà che bischerate vi toccava leggere.
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