Politica

A Como c’è il più bell’asilo del mondo

Vittorio Gregotti invita a riscoprire il capolavoro di Terragni

di Sara De Carli

Un omaggio alla bellezza d?Italia. 50 personaggi chiamati a indicare un luogo, un monumento che per loro è emblema di bellezza. Non importa se piccolo, se periferico, se poco frequentato. L?idea è stata lanciata dalla Fondazione CittàItalia ed è diventata un volume strenna i cui proventi finanzieranno le attività della associazione e ne faranno conoscere gli scopi.

Tra i personaggi interpellati c?è anche Vittorio Gregotti, una delle star dell’architettura del nostro Paese, celebre per alcuni progetti innovativi e anche discussi, come il quartiere Zen a Palermo e la nuova Bicocca a Milano. Gregotti, alla faccia dell?architettura spettacolare che oggi sembra essere tanto in voga, invita a riscoprire una meraviglia piccola e timida dell?architettura italiana del 900. Siamo a Como, periferia sud della città. Un quartiere deturpato, attraversato dallo stradone che rovescia sulla città tutto il traffico proveniente da Milano. Sulla destra, tra case costruite senza more e senza gusto, spunta imprevisto un autentico fiore: è l?Asilo Sant?Elia, costruito da Giuseppe Terragni a metà degli anni 30. Terragni probabilmente è il più importante architetto italiano del 900: per quanto sia morto giovane, ha lasciato un segno con il quale tutti si devono confrontare. Gregotti per primo, che di Terragni ama l?equilibrio e la capacità di far passare il verbo del razionalismo in una stagione che invece si beava della retorica del regime.

A Como l?asilo di Terragni è meglio noto come l??asilino?. E chi lo visita può rendersi conto della giustezza di questo diminutivo: pensando a un?architettura a misura di bambino il genio di Terragni inventa strutture portanti leggere e quasi esili, grandi vetrate, arredi gentili. C?è una grazia indicibile in questo edificio, un rispetto non formale dell?innocenza che lo frequenta. Ed è questo il motivo che ha spinto Gregotti a scegliere l?asilino come emblema della bellezza italiana.

«In realtà non so se si possa parlare di ?emblemi di bellezza?», spiega. «La bellezza è troppo soggettivamente mutevole nel tempo, è applicabile alle mode ma inadatta alle opere dell?arte, quanto di qualcosa che fonda una verità, stabilisce un confronto inevitabile. Quando tutto questo incide, inoltre, sulle proprie scelte di vita si costituisce un evento, questo sì, assolutamente soggettivo, che fa sì che l?incontro con l?opera vada al di là del suo oggettivo valore storico». L?asilo di Terragni ha rappresentato per lei un incontro di questo tipo? «Sì. è accaduto in occasione di una visita, quasi sessant?anni or sono. Era allora in condizioni deplorevoli ma la sua qualità spaziale e l?intelligenza dei suoi dettagli fu ciò che mi convinsero a diventare architetto; forse anche a causa del nome di Sant?Elia a cui era dedicato. E questo naturalmente non posso, né voglio, dimenticarlo».

Lei ha sempre professato una fede politica di sinistra. Non le fa problema indicare un?opera di un architetto che non aveva mai nascosto la sua adesione al regime fascista? «In realtà in Italia si può dire che nessuno fu costretto alla fuga, che le strade percorribili, all?inizio, furono più d?una: pensiamo a quella scelta da Giuseppe Pagano, che aveva progettato la sede dell?università Bocconi a Milano e che pure aveva collaborato a Roma con Piacentini per il piano regolatore dell?Esposizione universale. Pagano da fascista divenne antifascista, fu arrestato e rinchiuso a Mauthausen dove morì, come Gian Luigi Banfi (che con Belgioioso, Peressuti e Rogers aveva dato vita al BBPR). Poi c?è la strada intrapresa da Terragni, un altro fascista convinto, il che non gli impedì di essere il più puro e originale interprete italiano del razionalismo. Del resto persino Mussolini fu tentato dal modernismo e si espose a sostegno dei giovani architetti. Non fu il nazismo, ma non fu neppure il falangismo di Franco, che spazzò via dalla Spagna qualsiasi emblema dell?architettura moderna».

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