Volontariato

A chi serve la pistola?

Lo dicono le statistiche: i cittadini hanno poco interesse ad armarsi. Ma il sì all’autodifesa rischia di legare le mani ai giudici

di Stefano Arduini

Una riforma, quella sulla legittima difesa, approvata il 24 gennaio alla Camera più con lo sguardo puntato sulle imminenti elezioni politiche che sulle effettive necessità dei cittadini. A poco conta, in questo senso, l?insurrezione dell?Unione, che parla di «attentato alla Costituzione» e di «legge da far west». La prova del nove bisogna andarla a cercare fuori dal Parlamento. Basta chiedere, per esempio, a benzinai, orefici e tabaccai. Come ha fatto non più di 12 mesi fa l?Istituto Piepoli, che per conto della Confcommercio ha intervistato via telefono 201 esercenti. A specifica domanda, i rappresentanti delle categorie a rischio hanno risposto «di sentirsi meno sicuri rispetto ai normali cittadini, con una percezione di sicurezza al 65% rispetto all?86% generale, ma di non volersi dotare di armi da fuoco». Un dato che ben si specchia con un?altra statistica. La fonte, questa volta, è il Viminale: nel 2003 erano 45.618 le persone con porto d?armi per ragioni di autotutela, a fine 2004 le autorizzazioni sono crollate a 35.996. In questo ambito, il lasciapassare per il porto d?armi viene rilasciato dal Dipartimento di pubblica sicurezza, che evidentemente in questo arco di tempo ha ritenuto che molte richieste non dimostrassero «l?effettiva necessità di circolare armato per fini di difesa». E ancora: fra il 1999 e il 2003 le pistole per la difesa personale in Italia sono passate da 46.393 a 34.878. E i fucili, fra il 1999 e il 2004, da 2.125 a 1.118. Difficile quindi comprendere la scelta del legislatore. Anche per uno abituato a misurare con il bilancino la portata di ogni legge, come Valerio Onida, professore di Diritto pubblico alla Statale di Milano ed ex presidente della Corte Costituzionale. «La norma sulla legittima difesa, come era impostata nel nostro ordinamento, era già conforme ai naturali principi di civiltà giuridica», riflette. «Non c?era alcuna ragione di introdurre una modifica, se non quella di legare le mani al giudice impedendogli di giudicare di volta in volta la proporzionalità fra danno ricevuto e reazione». La riforma, infatti, stabilisce sulla carta che il rapporto di proporzione sussista in ogni caso, quando «taluno legittimamente presente nei luoghi ivi indicati usa un?arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità, b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione». «La politica ha dimostrato in pieno la sua grossolanità», tuona Onida. Che conclude: «Tutta questa domanda di sicurezza, fra l?altro, mi sembra più presunta che reale. Su questioni così delicate bisognerebbe avere un approccio razionale». I numeri gli danno ragione.


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