Famiglia

A carfizzi sulle tracce di re skanderberg

Fu un re albanese. In Calabria ha lasciato più di un segno...

di Christian Benna

Si inseguono stretti i vicoli del rione Palacco verso l?antico rudere di Kurrituri. Racchiusi in un prezioso labirinto sbocciano poi all?improvviso in piazzette illuminate dal sole di Calabria. È uno scorcio di Carfizzi, piccolo centro incastonato sulle colline dell?entroterra crotonese a 20 chilometri dalla costa jonica e 50 dalla Sila. Un gioiello sempre presente nelle opere dello scrittore Carmine Abate e in particolar modo nel suo ultimo romanzo, Il mosaico del tempo grande (Mondadori), un libro che si è appena guadagnato il Premio Vittorini. «Ma quelle piazze assolate», lamenta Abate, «sono sempre più vuote». Carfizzi è un paese di cultura arbëreshe (albanofona): nel 1468 numerosi gruppi di albanesi, per sfuggire ai turchi, si rifugiarono nei territori di Irene, principessa di Bisignano e figlia del re albanese Skanderberg, cui è dedicata la strada principale del paese. Si vuole che gli abitanti dell?antica Crisma, saliti sulle montagne per mettersi al riparo dagli attacchi saraceni, abbiano dato origine a tre villaggi: Carfidi, Trivio e Santa Venera, dalla fusione dei quali, intorno al 1530, nacque Carfizzi.

Vita: Carfizzi rischia di diventare un ?luogo del mito? anche nelle carte geografiche?
Abate: Torno al paese ogni volta che posso. Il fenomeno dell?emigrazione che ho raccontato nei libri Il muro dei muri (il suo libro d?esordio, scritto in tedesco e ora in uscita per Mondadori, ndr) e I germanesi, non si è fermato. Anzi. Negli anni 60 c?erano 1.600 abitanti, oggi meno della metà e tanti di questi sono pensionati. Uno spopolamento contagioso, comune a tutto l?entroterra. I giovani non trovano lavoro e sono costretti a far le valigie. Le cause? Nel corso degli anni l?economia locale si è sorretta perlopiù grazie alla rimesse dei compaesani all?estero e con contributi statali. Flussi di denaro che si assottigliano sempre di più.

Vita: Come frenare questa emorragia? Ma, soprattutto, si può cambiare rotta?
Abate : Non solo si può, si deve. Carfizzi è un paese bellissimo, ricco di paesaggi suggestivi, di storia e tradizioni. Bisogna puntare su un turismo culturale di qualità. Le strutture ci sono: in mezzo a un bosco di lecci c?è un ostello con piscina e campi da tennis, che però non è mai stato utilizzato. L?altra risorsa è l?agricoltura. Qui si produce un ottimo olio e il territorio si presta anche alla viticoltura, ma manca un sistema cooperativo in grado di commercializzare i prodotti agricoli. E poi puntare sull?artigianato: c?è un giovane orefice che realizza splendidi gioielli recuperando la grande tradizione orafa arbëreshe, e da sempre Carfizzi è apprezzata per le preziose coperte al telaio?

Vita: Lei ha vissuto sulla sua pelle l?emigrazione, il sentirsi costantemente straniero. Alla luce della sua esperienza è uno svantaggio per la sua comunità l?appartenenza a una minoranza?
Abate: Quello che una volta era considerato uno svantaggio oggi potrebbe diventare un volano per lo sviluppo. Tante tradizioni si sono perse, ma rimane forte il senso di appartenenza della lingua, che non è solo un mezzo di comunicazione ma un modo di organizzare la realtà. Questo rende unici Carfizzi e gli altri paesi arbëreshe come Pallagorio e San Nicola dall?Alto. Il tutto però senza sconfinare nel folclore, nel fanatismo. Di questo non c?è proprio bisogno.

Vita: Cosa si fa per rinsaldare il rapporto tra emigranti e paese?
Abate: Da una decina di anni, su iniziativa di un gruppo di emigrati, promuoviamo la Festa del ritorno (che è anche il titolo di un romanzo di Abate, ndr). Un momento di confronto e di dialogo. Del resto, gli emigranti che in passato hanno mantenuto l?economia del paese con le rimesse, oggi potrebbero essere una grande risorsa grazie al loro bagaglio professionale e culturale per la rinascita del paese. Intervista di Christian Benna

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