Mondo
A braccia aperte, dall’altra parte del corridoio umanitario
Anna Pagliaro vive in Calabria, da diversi anni ha scelto di diventare sponsor per i rifugiati che arrivano in Italia con i corridoi umanitari: «Voglio fare la mia parte per dire di no alla guerra che, per come la penso io, è molto più rivolta al potere e agli interessi economici che alla difesa degli esseri umani. Poco alla volta mi sono accorta che non ero solo io a sponsorizzare la famiglia, ma attorno al nucleo si era stretta l’intera comunità»
di Anna Spena
"Una spinta inconsapevole". Quando si chiede alla signora Anna Pagliaro, 69 anni, perché all’inizio del 2016, mentre in Italia la sperimentazione sui corridoi umanitari era appena all’inizio, lei ha alzato il telefono per mettersi in contatto con la Comunità di Sant’Egidio, ancora oggi, a distanza di anni, risponde con quelle stesse parole: «Una spinta inconsapevole».
Poi sorride. «Non avevo nessuna idea precisa, non ne sapevo molto del tema. Però ho cercato su internet i contati della comunità, li ho chiamati e ho detto “spiegatemi, fatemi capire. Proviamo a conoscerci”». Facciamo un passo indietro: Siamo nel 2015 ed è alla fine di quell’anno che in Italia viene firmato il primo protocollo d’intesa tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche, la Tavola Valdese, la Cei-Caritas e il Governo, per aprire il primo corridoio umanitario e portare profughi rifugiati in Paesi Terzi in Italia. Mille profughi siriani, che vivevano nei campi profughi in Libano, sono arrivati nel nostro Paese.
Dal 2015 sono stati firmati altri protocolli ancora che hanno portato in Italia i rifugiati dall’Etiopia, dalla Giordania, dal Niger, dalla Libia, dalla Grecia. I corridoi permettono a persone in condizioni di vulnerabilità un ingresso legale sul territorio italiano. Una volta qui i profughi sono accolti dai promotori dei progetti: Strutture ecclesiastiche, famiglie, associazioni laiche, o anche singoli cittadini, come il caso di Anna, che mettono a disposizione appartamenti per le famiglie rifugiate, e ogni mese si fanno carico delle spese e dei percorsi di integrazione dei rifugiati. Attraverso i corridoi umanitari sono arrivate più di 3mila persone in Italia, su un totale di 3.700 giunte in Europa.
«Avevo sentito parlare dai media dei corridoi umanitari e sapevo che Sant’Egidio cercava persone disponibili a diventare sponsor dei rifugiati», continua Anna Pagliaro che vive a Rende, un piccolo comune in provincia di Cosenza, in Calabria. «Dopo circa un anno mi hanno contattato dalla comunità per chiedermi se ero ancora disponibile per supportare e diventare sponsor di una famiglia di sei persone: madre, padre, tre bimbe e il fratello del capofamiglia. Ho detto sì, ero emozionata, e ho affittato per loro una casa poco distante dalla mia».
La famiglia di Aleppo, di origini armene, si era rifugiata in Siria per poi vedersi ancora una volta costretta a fuggire e mettere radici altrove. «Quella di diventare sponsor è stata una scelta ponderata, pensata. Per il primo anno mi sono impegnata a pagare il vitto e l’alloggio della famiglia. Per mantenere questo impegno economico ho capito che potevo rinunciare al superfluo», dice la signora Anna, che sorride ancora.
«Ho supportato la famiglia nelle pratiche di iscrizione a scuole delle bambine, nella ricerca di lavoro, nella richiesta della tessera sanitaria. Mentre passavano le settimane mi sono accorta che non ero solo io a sponsorizzare la famiglia, ma attorno al nucleo si era stretta l’intera comunità. Loro non arrivavano come clandestini, ma attraverso vie legali, quindi tutte le pratiche burocratiche, che richiedono competenze precise, erano state già portate a termine».
La soddisfazione più grande? «La famiglia vive ancora nell’appartamento che avevo preso per loro, sono subentrati al contratto d’affitto, sono diventati autonomi, l’Italia è diventata casa loro». Ma Anna non si è fermata e ha scelto di diventare sponsor anche di una seconda famiglia siriana che arrivava sempre dal Libano: «Sono stati qui un anno e mezzo. Ad agosto 2020 sono andati in Germania, e hanno raggiunto un parente lì, ma ci sentiamo ancora».
E se le chiediamo se le piacerebbe diventare sponsor di un’altra famiglia ancora risponde: «Voglio continuare, finché avrò forze e possibilità darò la mia disponibilità per essere sponsor. Poi in questi anni sul territorio sono maturate collaborazioni con le associazioni locali, la Caritas, il Comune di Rende. La responsabilità nell’accompagnamento di chi arriva non è più un fatto privato, ma oggi riguarda tutta la collettività». E aggiunge: «Non ho deciso di investire in tutto questo per un "atto di bontà", ho voluto fare questo perché non riuscivo più a reggere la mia stessa passività di fronte a tanti bambini, al di sopra di tutti, e a tanti esseri umani che ogni giorno morivano, e ancora oggi muoiono, sotto le bombe e per le armi sempre più raffinate e sofisticate che si producono e che si diffondono. L'ho fatto e continuo a farlo per sostenere una politica della pace che passa dall'accoglienza dell’altro. Voglio fare la mia parte per dire di no alla guerra che, per come la penso io, è molto più rivolta al potere e agli interessi economici che alla difesa degli esseri umani. E, mi sono detta, se rimango inerme e accetto passivamente che tutto questo accada, allora mi rendo complice di chi la guerra la vuole a tutti i costi, legittimando persino la morte dei bambini».
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