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A bordo della Sea Eye in acque libiche: «Allerta massima, il mare è piatto»

La corrispondenza della giornalista e fotografa Martina Morini che si è unita all'equipaggio della nave umanitaria: «Sono queste le condizioni più adatte per cercare di raggiungere l'Europa. L'esperienza ci dice che non tutte le barche di migranti che incroceremo chiederanno aiuto, lo faranno solo quelle che hanno perso la rotta, hanno problemi meccanici o stanno imbarcando acqua. Quelli che senza soccorso rischiano di morire»

di Martina Morini

Alle 5 del mattino del 30 gennaio La Sea Eye 4 ha lasciato la zona Sar (Search and Rescue) italiana, ha attraversato quella maltese e si è diretta verso quella libica dove ci troviamo in questo momento. D'ora in poi sulla nave non si svolgeranno più training di preparazione ma saremo a tutti gli effetti una nave operativa nel salvataggio di naufraghi, l'unica operativa in questo momento nell'area.

Il turno di Sar watch alle 6 del mattino lo maledici non appena te lo assegnano ma poi non puoi che esserne grata non appena il sole sorge e tu sei lì sul Monkey Deck, nella parte più alta della nave, con l'alba in faccia e il rumore delle onde in sottofondo. Si fa a coppie di due e si divide l'orizzonte. Ognuno si occupa di scrutare una metà, si comincia da sinistra a destra e poi indietro di nuovo. Lo scopo è quello di avvistare sulla linea dell'orizzonte possibili barche in distress che il radar non intercetta e segnalarlo tempestivamente al ponte di comando che poi si occupa di accertarsi della natura di quel avvistamento, a volte anche cambiando rotta per avvicinarsi. Si comincia prima del sorgere del sole perché può succedere che barche in difficoltà agitino torce o cellulari per richiamare l'attenzione e quella potrebbe essere l'unica occasione per avvistarli. Oggi il mare è «una tavola» dice Paval, il nostro capitano, e può aver favorito la partenza dalle coste libiche. Questo significa che l'attenzione deve essere massima perchè d'ora in poi ogni momento è buono per ricevere una richiesta di soccorso o per incontrare barche che devono essere aiutate.

È l'uso della radio che mi fa capire che qualcosa è cambiato. A bordo si comunica solo attraverso la radio e fin ora è servita esclusivamente per annunciare che il cibo è pronto, per chiamare tutto l'equipaggio per i meeting mattutini o come simulazione durante i training ma oggi, ogni volta che il Monkey Deck chiama il ponte di comando per segnalare che ha avvistato qualcosa, tutto si ferma per un istante, ci si guarda negli occhi, nessuno parla ed ascoltiamo la conversazione finché non si capisce cosa sia.

Alle volte sono pescherecci, plastica fluttuante, uccelli, alle volte barche vuote. Non tutte la barche di migranti che incrociamo hanno bisogno di aiuto, alcuni possono e vogliono continuare il loro viaggio autonomamente e questo spiega anche perché nel 2022, secondo l'Unhcr le persone sbarcate dalle navi hanno costituto solo il 12% del totale delle persone arrivate. Le persone che salgono a bordo sono solo quelle che hanno perso la rotta, il motore, hanno finito il carburante, hanno un danno alla barca o il gommone su cui viaggiano si sta sgonfiando. In altre parole, quelle che sarebbero morte se nessuno fosse intervenuto.

Le puntate precedenti:

Giorno zero. Pronti a ripartire per salvare vite nel Mediterraneo: il diario a bordo della Sea Eye

Giorno 1 di navigazione. «Il mal di mare e il senso di colpa di sentirsi inutile»

Giorno 4 di navigazione. «Stiamo entrando il zona Sar, dobbiamo tenerci pronti»


Questo diario è scritto a titolo personale e non rappresenta le posizione di Sea Eye

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