Formazione

A Bologna non c’è spazio per stare tutti in piedi

I detenuti restano in cella anche per 12 ore consecutive

di Redazione

Lo choc non arriva quando vedi la cella. È quando vedi i detenuti, che lo capisci: l’inferno è già presente, sulla Terra. In una delle città più ricche d’Italia, la dotta Bologna. È qui, nel quartiere della Dozza, che sorge una delle Case circondariali peggiori d’Italia in quanto a sovraffollamento e condizioni igienico sanitarie. I dati di settembre 2011 sono sconvolgenti: almeno mille detenuti presenti, più del doppio dei 450 previsti dalla capienza regolamentare, il 60% stranieri. In tre, a volte quattro, condividono 12 metri quadri di stanza. «Tutti in piedi non ci stanno, a turno uno deve rimanere disteso nel letto», è la prima, impietosa fotografia scattata davanti ai nostri occhi da Giuseppe Tibaldi, presidente di Avoc – Associazione volontari del carcere.
«Vengo qui da 18 anni, mai vista una cosa del genere». E ancora: «L’ultimo regolamento europeo in materia dice che non ci dovrebbero essere bagni in cella: ebbene, oltre al lavandino, spesso usato per tenere a mollo i cibi freschi, c’è una specie di gabinetto che si usa senza possibilità di stare da soli. Ma vi sembra possibile?». È la quotidianità, ma non è abbastanza: «Il numero degli agenti, 370, è molto al di sotto dell’organico idoneo. Il risultato è che si tende a lasciare i detenuti in stanza il più possibile, dove sono più controllabili. Ma si parla di almeno 12 ore di fila, dalle 18 al mattino dopo».
Altro che accompagnamento educativo. La presenza del volontariato carcerario alla Dozza serve per ridare ai reclusi le condizioni elementari di vita. «Hanno sempre meno soldi, diamo loro sempre più vestiti e prodotti igienici, figuriamoci se riescono a pagare un avvocato», continua il presidente, «e in molti casi siamo un surrogato della famiglia, che è troppo lontana o non ne vuole sapere».
Litigi e urla, dentro le mura, sono all’ordine del giorno: «La peggiore situazione è quella dei tossicodipendenti, quando vanno in crisi di astinenza diventano incontrollabili. Non dovrebbero essere qui, ma in qualche comunità di recupero», spiega con la voce di chi ne ha dovute gestire parecchie, di situazioni complicate. «Ma non può continuare così, si deve fare qualcosa». [D.B.]


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