Cultura

A Bologna è ripartita la sfida del biologico italiano

BIO: che cosa c'è dentro. Un'edizione delicata per Sana 2007, dopo le polemiche estive. Ma il settore è più vivo che mai

di Chiara Sirna e Daniela Verlicchi

Quest?anno a Sana, il salone internazionale del naturale giunto alla sua 19esima edizione, si respirava aria di rivincita. Rivincita contro chi avrebbe voluto seppellire il biologico sotto un mare di bugie sparate con i cannoni della grande stampa e che invece ha dovuto ricredersi davanti alla vitalità di un settore che occupa una piccola nicchia del mercato agroalimentare, ma che evidentemente inizia a creare qualche timore. Se non può dar molto fastidio quel 2,1% in cui è valutato il mercato del biologico in Italia, che cosa può inquietare i grandi produttori? Probabilmente intimorisce il grande appeal che il bio si è conquistato e che è premessa per far breccia su una quantità ben più larga di consumatori. I numeri quest?anno parlano di una crescita interessante: 2,4% per quanto riguarda gli operatori e il 7,5% per le superfici in conversione o interamente convertite ad agricoltura biologica. «Periodicamente», spiega Stefano Masini, responsabile ambiente della Coldiretti, «assistiamo a questi strepiti di settori culturali che tentano di inquinare l?informazione sull?agroalimentare. Sono comportamenti che mi ricordano quelli dei servizi deviati rispetto alla politica?». Del resto le analisi dimostrano che il biologico oggi ha un dinamismo maggiore rispetto all?agricoltura tradizionale. Masini indica due dati. Il primo riguarda le dimensioni medie delle aree coltivate per azienda: le tradizionali sono ferme a una media di 6/7 ettari, quelle biologiche ormai sono tra i 18/20 ettari. Segno che c?è un maggiore dinamismo imprenditoriale. In secondo luogo, nei nuovi imprenditori la propensione al biologico è nettamente più accentuata e la media del 2,1% sale al 3,7 tra gli under 35. Dati che possono spiegare i periodici strepiti culturali che si scatenano contro l?agricoltura nazionale. Come può confermare sulla sua pelle il patriarca del biologico italiano, Gino Girolomoni: «Ho iniziato a produrre pasta nel 1975. Nel 1977 mi è arrivato il primo sequestro. Secondo la legge 580 approvata quell?anno, le fibre naturali nuocevano alla salute e quindi andavano tolte dagli alimenti. E anche la farina integrale rientrava in questa categoria. Quando dicevo queste cose agli svizzeri e ai tedeschi ai quali vendevo per fortuna la mia pasta, non volevano crederci». Girolomoni poi ha in tasca anche un piccolo aneddoto che aiuta capire la dinamica delle cose: «I Nas per procedere al sequestro arrivarono nell?ufficio del sindaco. Che in quegli anni ero io. Così vidi chi mi denunciava: era l?Unione industriale dei pastai italiani?». Alla fine Girolomoni l?ha vinta. La legge è cambiata. I nemici sono cambiati, «oggi siamo assediati dalla burocrazia». Comunque lui riesce vendere la sua pasta in mezzo mondo, facendo sei milioni di fatturato all?anno. Quello di Girolomoni è legittimo orgoglio. «Orgoglio della categoria a cui appartengo. Io difendo i produttori del bio: sono loro che l?hanno inventato, che l?hanno difeso, che hanno fatto ricerche per trovare il modo di fare anche prodotti belli. All?inizio ci accusavano che la frutta era brutta, che il vino era torbido?». La scommessa del biologico è una scommessa globale. Include il rispetto del territorio, le condizioni di lavoro di chi viene impiegato, la sostenibilità del prodotto. Anche per questo biologico ed equo solidale vanno sempre più di pari passo. Come conferma Paolo Pastore, direttore operativo di Fairtrade: «Nel prodotto equo e solidale c?è un?incidenza del biologico maggiore che nei prodotti normali. Ad esempio, in Italia si vendono 300mila box di banane eque e solidali (il box equivale a 18 kg, ndr). Di queste, il 90% è anche biologico. Per il caffè, su 350 tonnellate, i due terzi provengono da agricoltura biologica e sono certificati». Ultimo anello della catena, il consumatore. E a Sana le tesi dell?Espresso sono state smantellate da una ricerca realizzata da Fibl, l?istituto per la ricerca sull?agricoltura biologica che ha sede in Svizzera. Uno studio estremamente approfondito presentato dall?Aiab. Che arriva, tra le altre cose, a questa conclusione: «In termini di sostanze desiderabili, i prodotti biologici emergono per avere livelli di sostanze vegetali secondarie e di vitamina C più elevati. Nel caso del latte e della carne, il profilo di acido grasso è spesso migliore dal punto di vista nutrizionale. Per quanto riguarda i carboidrati ed i minerali, i prodotti biologici non sono diversi da quelli convenzionali. Per ciò che riguarda le sostanze indesiderate come i nitrati ed i residui di fitofarmaci, i prodotti biologici presentano un chiaro vantaggio». Il consumatore è rispettato. E servito.


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