Sembra il titolo di un film della Wertmueller. E in effetti lo scenario poteva ricordare Mimì Metallurgico: stazione dei treni semideserta, nebbia, palazzoni, fabbriche. Ma è stato un attimo, anche perché a Bollate di metallurgico non so bene cosa sia rimasto. Ero piuttosto al convegno organizzato da un paio di coop sociali della zona che si vogliono unire. E’ sì, perché la Lombardia sta diventando una grande fonderia di cooperative (Mimì sotto nuove spoglie?) che, soprattutto per necessità ma un pò anche per scelta, interpretano in senso hard il quarto o quinto principio dei probi pionieri di Rochdale (ho sbagliato, è il sesto). Alla faccia dello small is beautiful che proprio nella cooperazione sociale ha vissuto una vera e propria golden age (ma di questo parleremo, forse, in un’altra puntata). La tavola rotonda – partita con il solito, congruo ritardo – chiedeva di parlare di strumenti per la trasformazione sociale (a proposito nel termine “trasformazione” c’è un che di desueto che me lo rende simpatico, soverchiato com’è da quel sciccoso e patinato “innovazione”). Insomma roba da far invidia a una riunione di comitato centrale, tanto che ero tentato di aprire i lavori con un bel “che fare?” leniniano. Mi sono contenuto. E ho proposto: sul fronte del lavoro di consolidare, finalmente, un sistema retributivo complesso fatto di un mix di aspetti economici e non su cui fondare, con un minimo di chiarezza, il rapporto persona / organizzazione in un’impresa sociale. E’ inutile agire solo sulla leva salariale perché c’è un problema contingente (due rinnovi di contratto in breve tempo e al limitare della crisi) e strutturale (risorse a disposizione per il welfare in declino e, più in generale, tutta l’economia che diventa low cost). Un ambito interessante è la formazione, non intesa come l’opportunità di corso finanziato, ma come life long learning che per questo tipo di lavoratori significa strutturare un percorso professionale che tocca da vicino elementi valoriali, motivazioni estrinseche, ecc. Altra proposta: agire con più decisione (e pazienza) la governance – d’impresa e di territorio – come processo entro il quale si scrive – insieme ad altri – l’agenda della trasformazione sociale e le concrete scelte che ne discendono in termini di responsabilità. E’ faticoso lo so, ma altrimenti l’interesse generale diventa una fiction. Terza (e ultima, non temete) proposta: dotarsi di strumenti che facciano da repository della conoscenza e dei dati di esperienza di chi, quotidianamente attraverso il welfare di comunità, innesca trasformazione sociale. Un sistema informativo insomma variamente utilizzabile. Un buon bilancio sociale, ad esempio, non quello banalizzato dall’obbligo normativo. E in effetti quelli di Bollate hanno fatto un buon lavoro (che però non trovo nel sito!). Bravi compagni!
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