L’abbiamo scritto quattro giorni fa: le rappresentanze del volontariato e del terzo settore sono pronte alle barricate sul decreto sulla spending review del Governo Monti, tanto da mettere in discussione la partecipazione alla Conferenza Nazionale del Volontariato di inizio ottobre all’Aquila.
La conferma arriva oggi anche dal Forum del Terzo Settore. Ha diramato un comunicato in cui annuncia di aver comunicato al al sottosegretario Maria Cecilia Guerra che è pronto a disertare la VI Conferenza Nazionale del Volontariato -e con essa tutti i tavoli di confronto e concertazione istituzionali- se il Governo non modificherà il decreto sulla spending rewiew.
Sul piatto ci sono due partire: la cancellazione degli osservatori nazionali, fra cui quello del volontariato, spazi di partecipazione e confronto con il governo da parte delle rappresentanze del terzo settore; e l’articolo 4 del decreto legge che impedirebbe la realizzazione di importanti servizi sociali per la comunità.
A ben vedere è la prima volta che si registra una tensione così alta fra terzo settore e governo. Nemmeno i tagli del governo Berlusconi o le promesse non mantenute dell’ex Ministro Maurizio Sacconi avevano portato a tanto. Mai si era arrivati a mettere in discussione questi spazi di partecipazione. La cui cancellazione è abbastanza incomprensibile: sono di nomina governativa, assai tiepidi quando c’è da contestare e danno solitamente una mano gratuita al governo stesso negli appuntamenti istituzionali che sono in programma.
E’ una cancellazione “tecnica” che trova radici in un provvedimento dell’ex Ministro Giulio Tremonti con cui vennero cancellati alcuni ambiti costosi di consulenza, ma al contempo ne venivano prorogati altri. Fra i prorogati c’erano quelli che non costavano quasi niente e che hanno a che fare con il mondo del terzo settore (compresa l’Agenzia per il Terzo Settore). Per questo stanno decadendo in momenti diversi, in corrispondenza con la data di emanazione della proroga stessa. Ma, ormai lo abbiamo imparato, le conseguenze dei provvedimenti tecnici sono, ovviamente, politiche.
L’Osservatorio Nazionale del Volontariato, ad esempio, sostiene il governo stesso nell’organizzazione della Conferenza Nazionale che manca dalle scene, è bene ricordarlo, dal 2007 quando premier era Romano Prodi e Ministro del Welfare Paolo Ferrero.
Eppure l’arrivo del Governo Monti era stato salutato dal terzo settore con un certo ottimismo. La nomina di personalità vicini a molti mondi della solidarietà -come il Ministro Andrea Riccardi-, il cambiamento del profilo pubblico dopo l’era berlusconiana, l’apertura del Tavolo Permanente di confronto con il Terzo Settore da parte del disponibilissimo sottosegretario Guerra.
A chi giova allora un deterioramento dei rapporti del terzo settore con il governo? A ben vedere a nessuno. Non certo al Terzo settore, che dalle “prove di forza” è evidentemente destinato a soccombere, non al governo che apre un nuovo fronte di conflittualità con un mondo molto ramificato e presente nella società in un momento in cui proprio non ce ne sarebbe bisogno. Ma sullo sfondo si giocano anche altre partite: il decreto sulla spendig review è certo stato emanato dal governo, ma deve passare dall’esame e l’approvazione delle Camere. Visto il momento concitato e la necessità di approvarlo al più presto per dare un segnale di stabilità, rassicurare i mercati e far calare il differenziale fra i titoli di stato italiani e tedeschi -lo spread-, il terzo settore non si fida delle forze politiche, nemmeno del Pd, e vuole condurre questa battaglia in prima linea.
Ma aldilà degli spazi di partecipazione -pur importanti- i segnali più preoccupanti sono altri. In un momento in cui la crisi attanaglia l’Italia e la disoccupazione giovanile è altissima, si continua a guardare al terzo settore come ad una sorta di “parastato”, di qualcosa che ha goduto in passato, quando c’erano più soldi, del favore delle politiche e che ora deve come tutti stringere la corda e soffrire per il bene del nostro Paese.
Solo un esempio fra i tanti possibili. Fra le molte cose che il governo di Mario Monti non ha voluto capire, e farlo sarebbe costato niente, è stato riconosce che oltre alle imprese profit e a quelle pubbliche esiste anche un’imprenditorialità sociale capace di generare occupazione. Sarebbe stato un bel segnale far partire un piano, anche sperimentale e con pochissime risorse, che indicava l’imprenditoria sociale e i giovani come soggetto privilegiato per gestire alcuni settori economicamente importanti e elaborava degli strumenti fiscali -qualche agevolazione- e finanziari -un minimo di start up- per sostenerli. Si pensi ai settori dell’assistenza o a quello dei beni culturali che è anche un volano non da poco per il turismo.
Poteva essere speso a livello mediatico, avrebbe dato un po’ di speranza e favorito anche un processo di innovazione all’interno del terzo settore stesso. Avrebbe cambiato un po’ d’aria. Così non è stato e, per chi vuole vederci bene, le contrapposizioni scaturite dal decreto sulla spending review non sono altro che la punta dell’iceberg delle occasioni perse da chi ha governato e governa questo Paese.
E’ ancora possibile fare qualcosa?
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