Giovani

Il servizio civile che cresce (e fa crescere)

Sono 63 i giovani che stanno svolgendo servizio civile in Fondazione Don Gnocchi: il numero più alto di sempre. Un tempo per sé, per scoprire nelle fragilità degli altri le proprie fragilità e quindi per trovare la propria strada

di Sara De Carli

A fine giugno 63 giovani hanno iniziato il loro servizio civile con Fondazione don Carlo Gnocchi: 59 in Italia (per la gran parte ragazze, i maschi sono solo 14) e 4 all’estero, in Bolivia (tutte ragazze). «È il numero più alto mai raggiunto», annota con soddisfazione Monica Malchiodi, responsabile del servizio volontariato e del servizio civile in Don Gnocchi. D’altra parte però resta vero che «avevamo capienza per 116 posti e abbiamo ricevuto 113 domande: abbiamo coperto il 60% dei posti disponibili, con una defezione del 40%, vuoi per ritiri o perché le sedi scelte erano già sature».

Le cose cambiano, in linea con quel che accade a livello nazionale, fra Nord e Sud: «al Sud tutti i 36 posti sono stati coperti, anzi abbiamo avuto domande di ragazzi che non abbiamo potuto accogliere», mentre 11 sono in servizio al Centro Italia e 12 sul Nord, dove «la fatica di reperire i ragazzi è più forte». Per Malchiodi la differenza la fa molto la prossimità: «Attorno alle sedi di Tricarico o Sant’Angelo dei Lombardi funziona tantissimo il passaparola, i ragazzi si incontrano in paese e raccontano la loro esperienza. Una dinamica che funziona meno al Nord e nelle grandi città, dove peraltro per i giovani c’è anche più possibilità di trovare piccoli lavori e – anche nel servizio civile – c’è più “concorrenza”».

Accorciare l’attesa

Come si può arginare quella perdita di interesse di chi ha presentato domanda di servizio civile ma poi in realtà non parte? «Cerchiamo da subito di agganciare i giovani, appena si candidano, anche se mancano 5 mesi alla scadenza. Ci facciamo raccontare perché hanno fatto domanda, cerchiamo insieme a loro di capire se hanno fatto la domanda giusta per il servizio che hanno in mente di svolgere, raccontiamo quali sono le attività che svolgeranno nei nostri Centri e li invitiamo sempre ad andare sul posto per incontrare i ragazzi che stanno svolgendo già il loro servizio civile», spiega Malchiodi.

La distanza temporale così ampia tra il momento in cui un giovane presenta domanda e l’effettivo avvio del servizio civile, infatti, è un po’ la death valley della motivazione: «È un periodo troppo lungo, si spegne l’entusiasmo. È una richiesta che tutti stanno facendo: non dico di iniziare il mese dopo ma in cinque mesi cambiano oggettivamente tante cose… C’è chi ha bisogno di portare a casa dei soldi, ci sono ritiri dovuti al fatto che i ragazzi hanno trovato soluzioni lavorative che non erano conciliabili con gli orari del servizio civile. Formalmente è consentito, ma devi fare il conto anche con le tue energie… se deve essere un’esperienza di senso non puoi farla nei ritagli di tempo».

Cerchiamo da subito di agganciare i giovani, appena si candidano, anche se mancano cinque mesi alla scadenza. Oggettivamente cinque mesi tra la domanda e l’avvio del servizio civile sono un periodo troppo lungo, si spegne l’entusiasmo.

— Monica Malchiodi, responsabile del servizio civile in Fondazione Don Gnocchi

Message in a bottle

Federica Turra è una delle ragazze che hanno fatto servizio civile in Fondazione Don Gnocchi l’anno scorso. Ha scritto una lettera per i nuovi volontari, una sorta di “messaggio nella bottiglia”: «Forse vi chiederete, come anche io mi sono chiesta più volte: come mai questa scelta? Perché scegliere il servizio civile? Perché fare volontariato? Per una questione economica? Oggi io ho trovato le risposte alle tante domande. Diventare volontario di servizio civile per me è stata un’esperienza importante perché accanto alla volontà di dare qualcosa di me agli altri e al mio Paese mi ha dato la possibilità di acquisire conoscenze e competenze pratiche e ancora ha rappresentato un’occasione di crescita personale e di formazione. Certo durante questa esperienza ci sono stati giorni duri, difficili da gestire, in cui ho pensato di mollare perché non mi sentivo emotivamente pronta né adatta ai compiti assegnati: poi però vedevo gli ospiti della struttura così inermi di fronte ad alcune sofferenze, così desiderosi di narrare di sé, così desiderosi di dare e ricevere amore… Vedevo ora le loro lacrime ora i sorrisi, li sentivo gridare il mio nome nel tentativo di attirare a tutti i costi l’attenzione su di sé, per dirmi “io sono qua, guardami e dammi consolazione”. Davanti a tutto questo non potevo girare le spalle e andare via, dovevo restare e dovevo dare a ciascuno di loro la dovuta attenzione, la dovuta importanza. Essere presenti, attenti, disponibili, sereni è molto importante; diventi la persona alla quale loro affidare tutto di sé, della quale fidarsi, diventi la persona a cui loro doneranno le loro paure, le gioie e le sofferenze per essere custodite e rispettate.  Riuscire a stabilire un legame forte è il primo obiettivo, per iniziare una relazione significativa. Tutto allora diventa un grande intreccio di mani, una danza ritmica, tutto diventa armonia».

Davanti a tutto questo non potevo girare le spalle e andare via, dovevo restare e dovevo dare a ciascuno di loro la dovuta attenzione, la dovuta importanza.

— Federica Turra, giovane in servizio civile

La fragilità

Il tema della fragilità, in un servizio civile accanto a persone anziane, con malattie croniche o con disabilità, non può essere eluso. «Lo scorso Natale abbiamo chiesto ai ragazzi come vedevano la fragilità, dopo sei mesi di servizio civile, ed è stato bellissimo come non si siano limitati a darci una restituzione rispetto alla diversità o alla fragilità degli altri ma tutti hanno raccontato come loro si sono sentiti fragili e diversi», ricorda Malchiodi. «Indaghiamo sempre lo stato d’animo dei ragazzi il primo giorno, ma a fine percorso se rifai la stessa domanda sulla fragilità ti dicono che portano via ricchezza, amore, condivisione, che apprezzano l’altro e non lo vedono più come un diverso: vedono una persona che ha fragilità diverse dalle loro. L’impatto emotivo c’è ed è forte, ma poi è la fragilità stessa che è talmente disarmante… che semplifica tutto. Per esempio ci sono ragazzi che hanno imparato a fare le presine all’uncinetto pur di “agganciare” una anziana signora… per instaurare una relazione si sono messi a disposizione anche in questo».

Da paziente a volontario del servizio civile

Monica Malchiodi descrive con passione “i suoi” ragazzi. «L’età media è di 23 anni, sono veramente giovani. Qualcuno ha finito la triennale e si interroga su quale percorso intraprendere, qualcuno sta studiano, qualcuno ha interrotto gli studi. Quasi tutti ci portano il bisogno di prendersi un anno per capire qualcosa di più della loro vita. La nostra esperienza mostra che è un anno che ti permette di riflettere, di conoscerti meglio, di acquisire nuove competenze. Tantissimi riprendono gli studi – molti nel sociale – tantissimi rimangono come volontari, direi un buon 10-15%, diversi dopo questa esperienza cambiano strada», racconta. 

Prima di prendere servizio, Fondazione Don Gnocchi propone a tutti i giovani in servizio civile un’esperienza di condivisione: qualche giorno insieme, residenziale, dedicata alla formazione e alla creazione dello spirito di gruppo. «Quest’anno siamo andati a Firenze, hanno partecipato in 50 sono venuti, è un’esperienza che resta tantissimo, si conoscono lì per la prima volta, qualcuno esce per la prima volta da casa… Ci sono ragazzi che sono stati nostri pazienti e che oggi sono qui come civilisti. E due psicologhe che hanno fatto servizio civile due anni fa, adesso sono referenti del volontariato nei nostri centri. Il mio sogno è radunare tutti i nostri giovani, in 5 anni sono stati più di 200, e capire cosa hanno fatto della loro vita, vedere cosa è accaduto dopo».

Foto dell’Ufficio servizio civile della Fondazione Don Carlo Gnocchi


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