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Al premio Lux c’è Mediterranea, il film di un viaggio dal Burkina Faso a Rosarno

La storia di Ayiva, un padre single, e Abas, che una volta arrivati in Italia, trovano lavoro come raccoglitori di arance. Alla regia Jonas Carpignano che spiega: «Se si dà un volto ai migranti gli italiani cominceranno a pensare in modo diverso».

di Monica Straniero

Dal 2007 il Premio LUX si basa sulla convinzione che esista un cinema europeo in grado di superare le barriere nazionali e di veicolare un dialogo tra Parlamento Europeo e cittadini su questioni come il progetto d’integrazione europea, l’immigrazione, le libertà pubbliche, i diritti fondamentali, la giustizia e la solidarietà.

Quest’anno tra i film finalisti, oltre "Mustang" sull’uguaglianza di genere e "La lezione, su come le avversità economiche possono sconvolgere un’esistenza, c’è “Mediterranea”, il racconto del viaggio di due amici dal Burkina Faso alla Calabria. Ayiva, un padre single, e Abas, una volta arrivati in Italia, trovano lavoro come raccoglitori di arance a Rosarno. Ma presto i due si rendono conto che la realtà per gli immigrati è ben diversa da come gli veniva raccontata da un amico. Sfruttati da imprenditori senza scrupoli, costretti a lavorare nei campi anche per 12 ore al giorno, ammucchiati in ex fabbriche senza acqua e senza luce, e oggetto di provocazioni di ogni tipo, entrambi si troveranno coinvolti negli scontri tra immigrati e popolazione locale che la cronaca ha raccontato nel 2010.

Il regista Jonas Carpignano è figlio di un italiano e di un'afroamericana ed è stato sempre attratto dall’idea di approfondire la convivenza tra razze diverse e soprattutto la relazione ambigua tra gli immigrati e la comunità italiana. “Ho preso spunto dalla rivolta dei braccianti stranieri di qualche anno fa, un evento storico che ha portato alla luce forme contemporanee di schiavitù, per parlare delle morti inutili nei nostri mari, tragedie che continuano a ripetersi ogni anno, appena le acque si riscaldano a maggio”.

Ancora oggi, cinque anni dopo, la Coldiretti, l’associazione a tutela dei lavoratori dell’Agricoltura, denuncia fenomeni di sfruttamento nella piana di Rosarno. Secondo recenti statistiche, la manodopera straniera impiegata nel settore agricolo non proviene prevalentemente dai paesi africani, ma dai paesi dell’est, eppure sono i “braccianti neri” i lavoratori immigrati che per un chilo di arance vengono pagati meno di 7 centesimi al chilo, a far notizia.

«Tuttavia penso che la migrazione, in generale, sia un fenomeno non esclusivamente legato dalla necessità di fuggire dalla propria terra», spiega il regista, «Molti cercano migliori opportunità di vita e di lavoro. Se il mio protagonista fosse venuto dalla Siria sarebbe stato evidente il motivo per cui aveva deciso di affrontare i pericoli di una simile scelta».

Ma soprattutto Carpignano ci vuole ricordare quanta somiglianza ci sia tra i barconi strapieni di migranti che cercano di raggiungere le coste della Sicilia e le traversate che hanno caratterizzato l’emigrazione italiana fin dalla fine dell’800. «Come Ayiva, l’obiettivo di molti italiani che colpiti da fame, miseria e povertà, scelsero di lasciare la propria patria, era uno solo: guadagnare abbastanza da poter tornare a casa con quel gruzzolo che consentisse loro di comprare una casa e, soprattutto, una terra».

Anche per i quattro milioni gli italiani che fra il 1880 e il 1915 approdarono negli Stati Uniti, si raccontano episodi di sfruttamento da parte degli agenti dell'emigrazione, che li reclutavano per il passaggio marittimo, e dei 'padroni', connazionali e spesso compaesani. Dopo aver affrontato il peggiore dei viaggi, pigiati come bestie nelle stive, in condizioni disumane, l’arrivo a destinazione poteva essere l’inizio di un incubo. Sin da subito gli italiani furono considerati manodopera di secondo ordine e pertanto schiavizzati nelle fabbriche statunitensi o nelle piantagioni brasiliane o argentine.


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«Ovviamente c'è una grande differenza tra l'immigrazione italiana verso le Americhe e l'attuale immigrazione africana in Italia, se non altro perché il primo era fortemente controllato. Ma la maggior parte dei flussi di immigrazione condividono alcune caratteristiche fondamentali. Mentre il Sud Italia rappresentava il terzo mondo agricolo, New York e Chicago era già città globali». Milioni di Italiani furono infatti attirati in America dalle lettere dei loro congiunti o dagli articoli pubblicati dalla stampa che rappresentarono un veicolo di propaganda all'emigrazione di massa dall’Italia.

Perché, come lo stesso regista rivela, anche se oggi l'ambiente dei media è profondamente cambiato, è sui social, Facebook in particolare, che i nuovi migranti spesso vedono nell'Europa la propria terra di speranze. “E poi bisogna sfatare il mito che gli immigrati sono conservatori e portano con sé la loro religione e le loro vecchie abitudini. Soprattutto i giovani vogliono sperimentare uno stile di vita e una cultura diversi”.

In una fase in cui lo straniero si è trasformato da problema sociale in problema di ordine pubblico, è aumentata la distanza tra italiani e stranieri immigrati. Il filosofo Carl Schmitt aveva inquadrato il perché di questo pensiero nella dicotomia amico-nemico per cui chi è diverso da noi è sempre nemico. «C'è qualcosa nella parola migrante che ci suona astratto», conclude Carpignano. «E’ molto difficile sentirsi coinvolti nelle loro vicende. Ma se si dà un volto ai migranti o una storia sulla quale riflettere, forse gli italiani cominceranno a pensare in modo diverso».

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