Non profit

La farsa del software per profilare i giocatori d’azzardo

Spending review, crisi, soldi che mancano. Ma dalle nebbie della politica romana può affiorare di tutto, anche la richiesta di finanziare un software per "profilare" i giocatori d'azzardo. Amenità? Non troppo. Il rischio è che possa servire a sviare per sempre una questione cruciale: prima di parlare di finanziamenti per cure e prevenzioni, non servirebbe una ricerca epidemiologica libera, scientificamente verificabile e indipendente che orienti quei finanziamenti? C'è chi sogna di affidarla al "software"?

di Marco Dotti

Un software per spogliare – metaforicamente, s'intende – i giocatori d'azzardo. Un sistema di telecamere che registra i passi, le posture, i movimenti, le smorfie, il sudore, quanti starnuti e quanti battiti di ciglia al minuto e persino quante volte un giocatore si mette le dita nel naso. Un po di dati, astratti dal contesto, un algoritmo per processarli e il risultato è assicurato: il profilo del giocatore. Se il giocatore rientra nei parametri che lo assegnano al profilo sbagliato, quello " patologico", ecco che scatta un alert.

Bello vero? Un vero miracolo dell'intelligenza artificiale. Un mezzo miracolo, a dire il vero. Lo vuole con forza e costanza, Paola Binetti supportata, evidentemente, da qualche esperto di "intelligenza artificiale", che ieri, a margine di in un'interrogazione alla Camera alla quale ha risposto il Ministro Padoan, ha reclamato a gran voce quel software. Software che, a quanto apprendiamo, costerebbe alle tasche dei contribuenti 3milioni e rotti di euro.

Accantoniamo la questione dell'opportunità o meno di sperperare risorse in questo modo e andiamo al dunque.

C'è chi dice no e c'è chi dice "ni"

C'è un punto a cui conviene prestare la massima attenzione, ma prestare per prestarla davvero, questa attenzione, bisogna ricordare che in Italia mai, ripeto mai si è approntata una ricerca seria e indipendente, scientificamente fondata e su larga scala, che miri non solo a "dar i numeri", ma a capire il reale impatto dell'azzardo di massa sul tessuto sociale, micro e macro economico del Paese e via discorrendo. Capire è il primo modo per agire, la premessa, non la conseguenza!

Esistono molte, piccole ricerche, indipendenti o meno, più o meno al risparmio, più o meno di parte, più o meno metodologicamente corrette. Esistono. Ma una fotografia effettiva che orienti i decisori e metta in luce quello che è evidente per ora manca.

Manca – e qui dove sono i vari Osservatori, Dipartimenti, Istituti superiori? – una ricerca epidemiologica su larga scala che indirizzi risorse là dove ce n'è bisogno, non là dove si grida di più "al lupo". Anche perché poi, se il lupo arriva davvero, sono guai, grossi guai.

A meno che… A meno che – ecco il punto – quel software, una volta finanziato, non fornisca i dati che servono da alibi per chiudere la partita delle indagini epidemiologiche…

E qui saremmo su un versante non più grottesco, ma tragico. Ricerche e indagini non serviverebbero più, perché il software tanto richiesto – e non è la prima volta – dalla Binetti azzererebbe tutto, dando ciò che molti chiedono: profili e numeri. E niente più.


Profilati e contenti

Una volta installato in sale gioco, bar, sale Bingo e via discorrendo, quel software fornirebbe dati, numeri, cifre avulse dal contesto sociale, economico, socio-culturale e, soprattutto, in grado di ricondurre la critica dell'azzardo diffuso dentro l'alveo di quel riduzionismo epistemologico e antropologico che tanto piace a molti, troppi attori del sistema.

Attraverso questo fantomatico software – ammesso che mai il governo decida di finanziarlo e auspichiamo seriamente di no – Il Ministero delle finanze o chi per esso avrà i suoi bei numerini, le sue belle cifre, le sue belle statuine, i suoi bei "giocatori". Insomma, un algoritmo potrebbe provvedere a ricomporre i tasselli di quell'indagine epidemiologica che né l'Istituto Superiore di Sanità è stato ancora chiamato a fare, né il Dipartimento delle Politiche antidroga è stato in grado di fare. Né il costituendo Osservatorio sul Gioco, simile più a un refettorio o a un parlamentino che a un consesso di ricerca (sia detto col massimo rispetto per i singoli che ne fanno parte) sarà mai in grado di fare.

Questo è il problema. E, come sempre, è sulla superficie che si agitano le questioni più profonde.

L'idea di un software che faccia cose del genere non è un'idea pericolosa o sbagliata in sé e per sé – ne esistono a centinaia di sistemi di monitoriaggio per la sicurezza ambientale. Sbagliati sono i presupposti, che estrapolano alcuni dati fisici dalla soggettività e dall'ambiente e ne traggono correlazioni e informazioni di tutt'altro ordine e grado.

Informazioni che potrebbero addirittura entrare nel mercato dei Big Data e, di conseguenza, violare radicalmente ogni principio di privacy e correttezza. Ma è la visione sottostante, ciò che più sconcerta.

Non possiamo accettare una visione dell'uomo – giocatore o meno – che si fondi sulla riduzione della sua complessità e alteri profondamente il nesso causa-effetto nella costruzione delle dipendenze di massa. Non possiamo credere ci sia gente disposta a scambiare questa "visione" per quello che non è: un servizio, anziché un ulteriore asservimento dell'umano a ciò che si è scordato di esserlo.

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