Politica

Il boom della pesca, mari sotto assedio

Denuncia del Wwf. A Doha i Paesi del Wto hanno firmato una risoluzione storica per cambiare le regole del mercato del pesce. di Elisabetta Corr

di Redazione

È un momento particolare per la pesca e per i mari del mondo: i nostri oceani stanno male, e tanto. Non soltanto perché sono intrisi di sostanze inquinanti teratogene e tossiche che avvelenano pesci e uomini, ma anche perché tutti i principali serbatoi biologici di specie marine (gli stocks, in linguaggio tecnico) sono in via di esaurimento. Oggi ci sono in mare più barche che pesci e da qualche anno le principali organizzazioni ambientaliste, Wwf in testa, cercano di persuadere i governi occidentali a limitare la pressione sulle risorse ittiche della Terra. Già nel 1998 la Fao avvertiva che «a livello mondiale il 60-70 per cento delle risorse di pesce richiede interventi urgenti per controllare o ridurre le attività ittiche». Senza risultati incoraggianti, per la verità. Almeno fino all?ultimo summit del Wto, l?organizzazione mondiale del commercio, che si è tenuto a Doha nel Qatar dal 9 al 14 novembre scorsi, e che si è concluso con una dichiarazione storica. I delegati dei Paesi membri hanno infatti sottoscritto un documento ufficiale in cui si impegnano a formulare nuove regole per il mercato globale del pesce e l?industria ittica. In realtà qualche vincolo alla caccia spregiudicata degli ultimi vent?anni esisteva già. Il mercato del pesce è vincolato da accordi sovranazionali che dovrebbero tutelare le risorse da un eccessivo sfruttamento (i cosiddetti trattati Mea?s – Multilateral enviromental agreements). Tuttavia, ogni anno le industrie ittiche ricevono più che sostanziose sovvenzioni (si parla di 15 milioni di dollari all?anno) per ampliare le proprie attività. Il Wto, nonostante le dichiarazioni di principio, preme perché i condizionamenti imposti dai Mea?s possano essere superati. La promozione di una pesca sostenibile è stata una delle sfide di Doha. Vinta? Non esattamente. Il documento finale è solo una dichiarazione di principio, una piattaforma di lavoro perché in futuro il concetto di ecocompatibilità cominci a entrare nelle orecchie dei Paesi membri e si possa quindi arrivare a sostenere in modo equo l?economia, ora minacciata, dei Paesi in via di sviluppo che vivono con l?esportazione del pesce in Africa, nel Mar dei Caraibi e nel Pacifico australiano. Le aree a rischio Il problema attuale di queste aree, infatti, è quello dell?overfishing, cioè di una pesca quantitativamente esorbitante rispetto alle risorse disponibili, senza il rispetto dei tempi di ripopolazione e delle ?età? del pescato. Inoltre, spesso sono proprio le nazioni occidentali ad avere diritti di pesca vantaggiosissimi in Paesi i cui ecosistemi marini sono tra i più delicati, e quindi fragili, del mondo. Nel Golfo di Guinea a farla da padroni sono stati prima i pescherecci e le chiatte dell?Unione Sovietica e poi quelli dell?Europa unita e tutte le specie che lo popolano sono seriamente danneggiate. Negli ultimi dieci anni, il Giappone ha messo a punto tecniche sofisticate per la caccia allo squalo, molto richiesto sulle tavole del Sol Levante. Il risultato? La popolazione di squali, e di conseguenza l?intero ecosistema marino, sta subendo colpi pesantissimi senza che i Paesi della costa ci abbiano guadagnato alcunché. E l?Unione europea compra a suon di milioni di euro i diritti di pesca da molti Paesi dell?Africa occidentale nonostante questi stocks si stiano esaurendo (vedi box). Un impatto devastante sull?ecosistema marino può essere causato anche dalle stesse tecniche di pesca. In Indonesia (Mare di Sulu, Nuova Guinea, Sulawesi e Mare di Kra) dal 1960 si utilizza il cianuro per cacciare i pesci della barriera corallina, depredata contemporanemente dai cacciatori di trofei e dal turismo in cerca di animali esotici per gli acquari ornamentali. Come se non bastasse, la dinamite è diventata il mezzo più rapido per pescare sul reef e le barriere coralline si stanno riducendo, frantumate dagli esplosivi. Nei grandi banchi al largo della costa atlantica degli Stati Uniti, un?area particolarmente pescosa, le reti per i pesci di grande stazza (il tonno e l?halibut dell?Atlantico) hanno raggiunto il picco massimo di presenza negli anni 60. Oggi, la pesca del merluzzo è soggetta a severissime restrizioni da parte del governo americano e del tutto proibita dal Canada. Nei mari caraibici e delle Bahamas, la Fao considera esaurite le riserve biologiche di tutte le specie di cernie, alcune delle quali sono state cacciate fino all?estinzione commerciale (esistono solo come specie protette). In Brasile, gli immensi banchi di sardine sono decimati e stesso destino è riservato ai gamberetti, alle aragoste e ai calamari. Il futuro Il summit di Doha ha comunque aperto un varco. Le prossime settimane sono fitte di appuntamenti che dovrebbero fare il punto della situazione e tentare di mettere a fuoco una strategia di intervento concreta. In prima linea ci sono le Nazioni unite, già presenti a Doha con i delegati Unep, e poi, naturalmente il Wwf, che ha monitorato in questi ultimi anni situazioni di particolare gravità, soprattutto in Africa. Dal 26 novembre all?1 dicembre esperti dell?Unep , il Programma ambientale delle Nazioni unite, si trovano in Canada per un summit mondiale sulle risorse ittiche e tentare di trovare soluzioni all?overfishing e al conseguente, altrettanto abnorme ampliamento del mercato che sfrutta tecniche ad altissima resa: gli animali non hanno il tempo di ripopolare le colonie e i cicli biologici sono interrotti. Tra il 26 e il 29 novembre, invece, il Wwf e l?European policy center si sono riuniti in un simposio dal titolo suggestivo ?Fishing in the dark ?, pescando nell?oscurità. Sul tavolo delle trattative ,i regimi di pesca del futuro. Ora ci si aspetta che l?Unione europea si assuma le proprie responsabilità nei disastri ecologici che la pesca degli ultimi vent?anni ha provocato in tutti gli oceani. In cui purtroppo proprio la Ue ha un ruolo da protagonista. Il 35% del pesce finisce sulle tavole europee La Comunità europea importa il 35% del pescato totale. Le specie che subiscono la pressione più forte sono le acciughe, i tonni, gli sgombri, i gamberetti e il salmone. La pesca di quest?ultima specie ha conosciuto un rapido incremento tanto che nelle acque della Groenlandia, della Lapponia e della Norvegia il salmone rosso è alla soglia di guardia che precede il livello di estinzione. Produzione mondiale: un aumento senza fondo La produzione mondiale di pesce è in continuo aumento (i dati seguenti si basano sul rapporto 2001 della Fao sulle risorse alimentari, The state of food and agricolture). Nel 1998 si pescavano 117 milioni di tonnellate di pesce, nel 1999 si è passati a 125 milioni. La maggior parte proviene dalla pesca effettuata in mare aperto. E il Niño mise in ginocchio i pescatori del Perù I principali produttori ittici sono il Perù (8,4 milioni di tonnellate), il Giappone (5,2), il Cile (5). Nel 1999 gli Usa sono arrivati al primo posto sia nella produzione che nell?esportazione, davanti alla Thailandia e alla Norvegia, con il 16% del mercato. Lo scarto notevole tra il ?98 e il ?99 è spiegato dall?influsso del Niño sul Pacifico.


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