Volontariato

Cucinella: «Per la scuola-balena ho immaginato di essere alto 1 metro»

Scuole al via per 8 milioni di ragazzi. Intervista con l’architetto Mario Cucinella, che ha firmato il nuovo asilo nido di Guastalla: «Per troppo tempo abbiamo fatto coincidere il luogo educativo con una norma, ma la norma non produce qualità e tantomeno bellezza. Gli edifici sono sempre una forma di educazione, la scuola a maggior ragione. Ma attenzione, la creatività fine a se stessa diventa stravaganza, ci si salva solo con un progetto condiviso».

di Sara De Carli

Prende il via oggi in gran parte d’Italia il nuovo anno scolastico. Quest’anno sono 7.861.925 i ragazzi iscritti nella scuola statale, oltre 960.000 quelli delle paritarie. Il prof scrittore Alessandro D’Avenia, con quell’affabulazione stregata a cui ci ha abituati, ha scritto ieri una bellissima lettera aperta a tutti i suoi colleghi: «il primo giorno di scuola attraversa il cuore di un ragazzo come uno stormo di promesse. Sperano che quel primo giorno sia un giorno nuovo, sintomo di un anno nuovo, una vita nuova, direbbe Dante. Rendete quel giorno la loro Beatrice. Non li deludete. Date loro un giorno indimenticabile. Non chiedete delle loro vacanze, non raccontate le vostre. Fate lezione: con un amore con cui non l’avete mai fatta». Questa è la sfida per eccellenza, ma un pezzo del successo o dell’insuccesso deriva anche dal “contenitore” in cui essa si gioca: finalmente è stata sdoganata l’idea che lo spazio educativo non è affatto neutro ma ha un ruolo importante.

A Guastalla, in Emilia Romagna, domani 120 bambini sotto i tre anni prenderanno possesso della loro nuova scuola: un asilo nido nuovo di zecca, costruito al posto dei due vecchi nidi del paese, mangiati dal terremoto del maggio 2012. Il nido porta la firma di Mario Cucinella, palermitano, classe 1960. Non è un’archistar anche se ha tutti i titoli per esserlo. Nel suo portfolio ha due MIPIM Award (l’unico architetto Italiano ad acciuffarlo in trent’anni) vinti entrambi nella categoria green building, una non profit, la Building Green Futures e una scuola, la S.O.S. – School of Sustainability, dove forma i giovani professionisti del futuro. Ha appena ultimato il superfotografato One Airport Square di Accra e sabato 19 settembre sarà a Guastalla per l’inaugurazione dell’asilo nido che restituirà al territorio un pezzo di normalità.

Per la maggior parte di noi dire “scuola” significa immaginare un edificio monolitico, con i lunghi corridoi e le aule, sempre uguale a se stesso da cento e più anni. In Italia abbiamo oltre 42mila edifici scolastici, più o meno sono tutti così. Cosa significa progettare una nuova scuola nel 2015?

Cominciamo col dire che quei 40mila e più edifici scolastici sono il risultato dell’aver fatto coincidere il luogo educativo con una norma. Per troppo tempo si è normato tutto, come se la norma producesse automaticamente qualità. Forse finalmente stiamo capendo che la norma non produce qualità e tantomeno bellezza. Dobbiamo partire non dalla norma ma dall’immaginario. Gli edifici sono sempre una forma di educazione, la scuola a maggior ragione.

Cosa significa partire dall’immaginario?

Gli edifici sono immobili ma viaggiano nella nostra memoria. Io ho scoperto a cinquant’anni che forse ho fatto l’architetto essenzialmente perché l’asilo che ho frequentato, a Piacenza, era stato realizzato da un grande architetto, Giuseppe Vaccaro. Io avevo 4 anni ma ricordo benissimo la luce che c’era nella scuola, il giardino… quei ricordi hanno influenzato anche i miei progetti. Come deve essere una scuola? Innanzitutto sicura, perché i genitori le affidano i propri figli; rispettosa dell’ambiente, perché ormai non ci sono alternative; luogo dell’immaginario e della creatività. Allora buttiamo la norma e ripartiamo da qui, provando anche a immaginare gli spazi come li vede un bambino, perché essere alti un metro dà uno sguardo diverso su tutto. Noi italiani abbiamo Maria Montessori, don Bosco e il Reggio Children, siamo precursori nell’immaginare modelli educativi ma anche la loro ricaduta architettonica. Forse il problema è che oggi ce li siamo scordati, non abbiamo un modello educativo.

Noi italiani abbiamo Maria Montessori, don Bosco e il Reggio Children, siamo precursori nell’immaginare modelli educativi ma anche la loro ricaduta architettonica. Forse il problema è che oggi ce li siamo scordati, non abbiamo un modello educativo.

Mario Cucinella

Nello specifico della scuola di Guastalla, cosa l’ha guidata?

L’idea che i bambini non debbano stare chiusi in uno spazio ma debbano vivere lo spazio. Una suggestione è venuta dalla pancia della balena di Pinocchio: sei dentro la pancia ma paradossalmente quello non è un luogo di pericolo, bensì un luogo sicuro. La pancia della balena allora diventa un po’ come un grembo materno. La scuola di Guastalla è questo, un grande ventre materno, senza muri, con le aule separate da vetri e la possibilità di vivere tanti ambienti spaziali differenti. In più c’è un rapporto forte con la natura, da vivere nel suo essere un orologio. Lo spazio è già una forma di educazione, quando le maestre racconteranno ai bambini che l’elettricità della loro scuola viene dal sole, che l’acqua è calda perché la scalda il sole, che quando piove l’acqua viene raccolta e poi serve per bagnare le piante del giardino, stanno già costruendo la coscienza ecologica dei bambini. È la sfida dei prossimi decenni.

Come si fa a “far dialogare” didattica e architettura all’interno di un progetto? Significa coinvolgere anche le insegnanti?

Certo. Innanzitutto l’architettura deve recuperare saperi, non pensare solo all’estetica e quando si progetta una scuola questo raggiunge la sua massima evidenza, perché io architetto che faccio il progetto in quell’edificio non ci andrò mai, per definizione: è una cosa che fai per altri. A Guastalla abbiamo coinvolto le insegnanti e i genitori, come stiamo facendo anche ora all’Aquila, per altre due scuole, in un’esperienza di progettazione partecipata. Il compito dell’architetto è dare un contributo creativo, ma nel suo compito c’è anche ascoltare le esigenze pratiche, concrete, di chi abiterà quell’edificio.

È un’affermazione di grande umiltà…

La cultura non la fanno gli archistar. Sono vent’anni che viviamo in questa orgia per cui gli archistar con i loro progetti si guardano allo specchio o tutt’al più rispondono solo ad altri archistar. Io voglio rispondere alla gente. Credo che questo avvicinamento alle persone, questa “empatia” che porta a un progetto condiviso sia la vera risorsa dell’architettura.

È faticoso?

Non vedo alternative, per cui non posso nemmeno dire che sia faticoso. Certo è complesso. Ma la democrazia è questo.

La cultura non la fanno gli archistar. Sono vent’anni che viviamo in questa orgia per cui gli archistar con i loro progetti si guardano allo specchio o tutt’al più rispondono solo ad altri archistar. Io voglio rispondere alla gente.

Mario Cucinella

Cosa c’entra l’empatia con il progetto creativo?

La creatività è un luogo sconosciuto, è una grande risorsa ma se è fine a se stessa diventa stravaganza. L’empatia è l’elemento di unione con le persone e l’ambiente, l’empatia creativa è la creatività che diventa utile. Non è una mia invenzione, forse abbiamo perso il filo negli ultimi vent’anni.

Si è appena chiuso a Bologna il PLEA, la conferenza sull’architettura passiva e low energy. Quali sono le sfide per l’architettura del futuro?

Sono cambiati tutti i paradigmi e finalmente ce ne siamo resi conto. Il tema dell’accesso alle risorse non è più rimandabile. Dobbiamo mettere insieme il mondo della ricerca e il mondo pratico, trasferire la ricerca in ambito umanistico e sociale, abbiamo bisogno di imparare nuovamente a progettare il futuro.

Sono appena partiti anche i corsi della SOS School of Sustainability che ha voluto creare. Qual è la filosofia?

La stessa. Lavorare con gli strumenti tecnici più innovativi e gestire l’ansia. L’ansia è un grande motore, significa che sono in ricerca, che sto cercando qualcosa. Il non sapere dove andare è la condizione per creare. Questi dieci ragazzi lavoreranno sulla capacità visionaria ma facendo sempre un forte esercizio intellettuale.

La creatività è un luogo sconosciuto, è una grande risorsa ma se è fine a se stessa diventa stravaganza. L’empatia è l’elemento di unione con le persone e l’ambiente, l’empatia creativa è la creatività che diventa utile.

Mario Cucinella

Nel suo portfolio ci sono diversi progetti a forte valenza sociale, una su tutte la Kuwait School, nella striscia di Gaza, una scuola per 2mila bambini di un campo. Vuol dire che li va a cercare?

Li cerco, sì, perché credo che l’architettura sia una questione sociale e non una questione di edifici da fotografare. È questo che dà spessore al mio mestiere. Un architetto può fare danni irreversibili in un quartiere, un edificio che non funziona non è solo un costo passivo ma può far degenerare un territorio e le sue relazioni, ben al di là del suo perimetro. Con le scuole questo è amplificato. Quella scuola a Gaza è stato il primo luogo in cui i bambini e le loro famiglie hanno sperimentato la dignità. È stata una rinascita. E anche a Guastalla la cosa che mi ha reso più felice è stato sapere di famiglie che hanno detto di essere disponibili ad aspettare un po’ di tempo in più per avere la scuola, non hanno iscritto i figli in un altro asilo come facciamo tutti di solito: non perché questo asilo sia glamour e ci tengono a mandare i figli qui, ma perché hanno compreso come l’architettura impatti sulla vita vera.

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