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Cizre, la nuova Kobane

Il processo di pace fra la Turchia e il Pkk, organizzazione separatista considerata terrorista da Europa e Stati Uniti, si è ufficialmente fermato nella piccola cittadina nel sud-est della Mezzaluna, 130mila anime, per la maggioranza curdi, a un soffio dal confine con la Siria

di Lorenzo Maria Alvaro

A Cizre, cittadina di 130mila anime, per la maggioranza curdi, a un soffio dal confine con la Siria da oltre una settimana si sta consumando uno scontro fra i militanti del Pkk, organizzazione separatista considerata terrorista, ed esercito turco. La situazione è talmente drammatica che la città si è meritata l'epiteto di “Piccola Kobane” o di “Piccola Gaza”.

Il governo di Ankara continua a negare il coinvolgimento e le vittime fra la popolazione civile. Sui social network però sono state postate le foto di diversi cadaveri, fra cui anche alcune donne che hanno cercato di proteggere i loro figli dalle sparatorie. In alcune foto i corpi sono coperti da bottiglie di acqua ghiacciate per rallentarne la decomposizione, perché la mancanza di sicurezza per le strade non consente nemmeno lo svolgersi del funerale.

Le uniche informazioni che trapelano dal Governo turco, fonti militari citate dall'agenzia di stampa statale Anadolu, parlano solo di almeno 60 guerriglieri del Pkk uccisi dai raid compiuti nella notte dall'aviazione turca sulle montagne nel nord dell'Iraq. Le operazioni sono state condotte da 21 caccia F-16 e F-4, che hanno sganciato complessivamente 80 bombe.

È impossibile dare stime certe sulle vittime (ma i civili rimasti uccisi sarebbero almeno 5, 20 secondo il partito curdo) anche perché la cittadina è assediata e totalmente isolata. Ai mezzi di soccorso è stato impedito di avvicinarsi alla zona. Alcuni distretti della cittadina non hanno luce e acqua per diverse ore della giornata. Anche i giornali turchi non possono raggiungere la zona e riportano con grande ritardo gli aggiornamenti sulla situazione. Addirittura due giorni fa una delegazione di 40 deputati dell’Hdp, il Partito curdo del popolo democratico che siede in parlamento, ha cercato di raggiungere la città, ma è si è trovato l’autostrada sbarrata dai blindati dell’esercito.


Secondo il giornalista francese di Liberatìon Bernard Guetta: «Sono due gli sviluppi che sembrano aver ridato fuoco alle polveri. Innanzitutto i conflitti mediorentali hanno restituito la speranza ai curdi di Turchia più radicali, che hanno visto il Kurdistan iracheno affermarsi in uno stato costituito de facto dopo la caduta di Saddam Hussein mentre i curdi siriani si sono separati da un paese sprofondato nel caos, e si sono affermati sempre di più, insieme ai curdi iracheni, come unica forza capace di opporsi sul campo ai jihadisti dello Stato islamico.

I curdi di Turchia sentono che questo è il momento della verità, un’occasione storica per vincere la battaglia per uno stato curdo indipendente e unitario, e a luglio hanno ripreso i loro attacchi contro l’esercito turco. La loro offensiva avrebbe potuto essere marginale, ma non è stato così perché il governo turco ha scelto di rispondere con la forza per motivi legati alla politica interna».

Non può però non notarsi il tentativo di risalire nei sondaggi di Recep Tayyip Erdoğan, che per riscattare gli scarsi risultati delle elezioni di giugno in vista della tornata legislativa di novembre ha puntato tutto sul nazionalismo e sull'infiammare le piazze. Ne è prova il fatto che negli ultimi due giorni sono state saccheggiate circa 400 sedi dell’Hdp (il partito politico curdo). Gli uffici del grande quotidiano d’opposizione Hurriyet sono stati attaccati per due volte. Attizzato dall’alto, l’odio si diffonde nelle strade, complicando ulteriormente la situazione in Medio Oriente.

La speranza è che al più presto ci sia una presa di posizione delle istituzioni Europee e dell'Onu.

In copertina un'immagine delle proteste degli ultranazionalisti turchi contro il Pkk a Istanbul, il 9 settembre scorso

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