Famiglia
L’immigrazione al contrario al Festival di Venezia
Il film di Adriano Valerio, unico italiano in concorso nella rassegna “Settimana della critica”, racconta come tanti giovani italiani fuggono da un tasso di disoccupazione a livelli record, prediligendo la Germania, la Gran Bretagna e la Svizzera
“Per molti anni l'Italia è stata considerata l'Eldorado dei delinquenti di Bucarest. Ma quando un mio amico decise di partire e coltivare mele in Romania, si ritrovò a fare il piccolo imprenditore in una terra che gli avevano raccontato essere meravigliosa. Così sono partito anche io e ho avuto modo di verificare di persona la percezione negativa che si ha dei romeni, e prima di loro degli albanesi, derivata da una generalizzazione dei fatti di cronaca”.
Il giovane regista Adriano Valerio, fondatore della Camera Mundihttp://www.cameramundi.org, una NGO che organizza seminari di regia nei paesi in via di sviluppo, ha scoperto che la Romania non ha nulla da invidiare agli altri stati europei. E in un’epoca in cui l’Italia è vista come terra dei miracoli da migranti che arrivano dall’Est e dall’Africa, Banat (il viaggio) racconta il percorso di due immigrati al contrario.
Dalla caduta del comunismo nell'Europa Orientale tre milioni di romeni hanno lasciato il loro paese, Tra le comunità straniere presenti in Italia, secondo il rapporto Istat 2014, quella romena risulta essere la più numerosa con 1.131.839 residenti, pari al 22% del totale. Così oggi la Romania, pur continuando a essere paese di consistente emigrazione, sta conoscendo un’evoluzione per molti aspetti simile a quella italiana dei decenni scorsi e si sta trasformando in area di insediamento stabile.
“I protagonisti del mio film, Ivo e Clara, rappresentano la generazione di trentenni italiani che dopo anni di ricerche in un mercato del lavoro ormai vuoto, decidono di prendere le distanze da un sistema nel quale non si riconoscono per andare all’estero e tentare un futuro diverso. Io stesso ho lasciato l’Italia da molti anni per vivere e lavorare in diversi paesi”.
I ragazzi di Banat, come tanti giovani italiani, fuggono da un tasso di disoccupazione che ad agosto ha toccato livelli record (44,2%), prediligendo la Germania, la Gran Bretagna e la Svizzera. E se ci sono paesi dell’ex blocco comunista che faticano ancora a uscire dalla transizione, la Romania sta conoscendo una brillante crescita economica. Partendo dall’assoluta esigenza di attirare capitali, ha cercato infatti di sviluppare nel corso degli anni un adeguato business environment. Oggi sono oltre 20.000 le piccole e medie imprese italiane che operano direttamente sul posto, incentivate dai bassi costi per la costituzione di società e dalla facilità di reperimento di manodopera.
Insomma l’Italia offre poco, l’Est molto. “Bisogna tuttavia differenziare – aggiunge Valerio – la fuga dei giovani italiani è una scelta. E’ frutto di un sempre meno frequente senso di appartenenza alle cosiddette “shell institutions” come la chiesa ed i partiti politici Anche l’istituzione della famiglia vive un periodo di evidente ri-definizione. Insomma in pochi decenni i cambiamenti sono stati così rapidi da ridurre al minimo i punti di riferimento. Quello a cui stiamo assistendo sulle coste italiane è invece la conseguenza dell'esodo disperato di chi è costretto a lasciare il proprio paese per sottrarsi a guerre e persecuzioni. Eppure il senso di spaesamento può essere lo stesso, come il malessere dovuto allo sradicamento dalle proprie origini”.
Banat, l’unico film italiano in concorso alla Settimana della Critica alla Mostra Internazionale del cinema di Venezia 2015, diventa una preziosa occasione per riflettere su un fenomeno che ha molte sfaccettature. Perché “l’immigrazione al contrario” sta interessando da qualche anno anche gli immigrati. Secondo l’Istat sono ormai più di 40.000 gli stranieri rientrati nel loro paese o trasferiti in altro stato estero a causa della crisi economica. Anche un’altra cosa è certa: chi fugge da Siria, dall'Afghanistan, dall'Iraq, medici o analfabeti che siano, considera l’Italia un paese incapace di accoglierli, una sosta indesiderata prima del salto al cuore d'Europa. In Germania, per esempio, dove nonostante il 25 agosto sia stato dato alle fiamme un centro per migranti, qualcosa potrebbe cambiare.
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