Volontariato

Derrick de Kerckhove: “L’Europa non è nata dai trattati e lo Stato è un hardware usurato”

Abbiamo bisogno di connessioni e di globalità, ma anche di una dimensione locale, comunitaria. Ne è convinto lo studioso canadese, erede di McLuhan, che afferma: "lo forma-Stato è un hardware troppo vecchio su cui il software dei nostri bisogni non può più funzionareì. Chiediamoci allora dove sono questi bisogni"

di Marco Dotti

«È sempre meglio una testa ben fatta, che una testa ben piena». Esordisce così Derrick de Kerckhove, sociologo, docente nelle università di Napoli e Toronto, per oltre dieci anni assistente di Marshall McLuhan e riconosciuto tra i più attenti osservatori della “rivoluzione digitale” in corso.
Oggi più che mai, prosegue de Kerckhove, è importante fare ricerca partendo da una specifica disposizione dello sguardo, piuttosto che da un sapere statico di tipo tradizionale. Servono «nuove sintesi, nuovi montaggi, nuove connessioni tra le intelligenze e, soprattutto, nuove idee capaci di cambiarci la vita, di cambiare la vita».

Quali idee ci cambiano la vita? Non crede sia difficile stabilirlo in partenza? La maggior parte delle innovazioni avviene in maniera imprevista, magari non casuale, ma casuale talvolta è invece proprio la sua incidenza sul mondo..
Un’idea può essere all’origine o, al contrario, il riflesso di un cambiamento. Possiamo pensare a una idea precisa, ma anche a una tendenza più generale che condensa in una parola o in un gesto le intere tensioni di un’epoca. Limitiamoci a tre ambiti di cambiamento: il cambiamento nell’economia, quello nella tecnologia e, infine, il cambiamento che incide sulla società tout court. Nel campo economico, ritengo fondamentali per un cambiamento in positivo le idee legate a due figure, John Maynard Keynes e Mohammed Yunnus. Negli anni Trenta del secolo scorso, Keynes comprese che bisognava consentire a tutti di acquistare beni e oggetti. A tutti, ma soprattutto agli operai che quei beni e oggetti producevano: la sua intuizione conferì una spinta radicale al commercio e al benessere. In giorni a noi più vicini, Yunnus, con il suo microcredito, ha riscoperto il valore della fiducia. Dare credito alle relazioni, riempirle di fiducia: ecco un’idea che, come una potentissima leva, opera un rovesciamento di prospettiva rispetto alla mera logica dell’appropriazione e del profitto. Il microcredito può realmente cambiare il mondo, cambiando la nostra attitudine e aiutandoci a pensare che la questione creditizia è un problema da risolvere, non l’occasione per speculare e far soldi sull’altrui disagio.

Sul piano “sociale”, invece, c’è a suo modo di vedere un’idea che ha cambiato o sta cambiando il mondo?
Marshall McLuhan diceva che, in un ambiente altamente tecnologizzato, i nostri ragazzi sono chiamati a un compito parimenti complesso e problematico: quello di crescere. Crescere non è cosa semplice, anche perché una delle catatteristiche di questo ambiente elettronico è che coinvolge profondamente le persone le une con le altre, facendo perdere loro il senso di identità privata. Pensiamo ai nostri ragazzi: mettono le loro identità sulla rete, su Myspace o Facebook, prima ancora di metterle “dentro” di sé. Questo mi porta a pensare che l’idea stessa del social network ha sicuramente cambiato il mondo in tempi rapidissimi. Non sono un fanatico di Facebook, ma non posso non rilevare che stia mutando alla radice la società stessa, l’ambiente di crescita dei ragazzi e il nostro modo di rapportarci a loro. Lo sta mutando in forme spesso virtuose, trasformando il concetto stesso di carattere e di persona. Dobbiamo, sottolineo dobbiamo tenerne conto, al di là di qualsiasi moralismo, contribuendo alla maturazione, non all’involuzione della rete.

La maturazione dovrebbe essere complessiva, coinvolgendo sia gli attori che gli spettatori di questo cambiamento?
Certamente, precisiamo che quando parliamo di maturazione della rete, parliamo della maturazione di un mondo cognitivo, quindi fatto di idee, molte delle quali hanno cambiato, stanno cambiando o cambieranno il mondo.

La rete è il campo di un’intelligenza che ho chiamato “connettiva”: quel tessuto di connessioni tra intelligenze molteplici capaci, grazie al loro movimento, di offrire soluzioni nuove, generative di altre idee che cambieranno lo stato delle cose precedente. Idee che spesso nascono senza che chi le produce o tantomeno chi le osserva ne sia pienamente consapevole.

Comunque, molti “osservatori” della rete sono ancora attestati su vecchie posizioni, Internet nel frattempo sta maturando, proprio come avviene a una coscienza. Twitter, in tal senso, è un momento di maturazione fenomenale della rete stessa. Twitter ha portato la situazione nella comunicazione. Pensiamo al terremoto dell’Aquila, o alla catastrofe di Haiti o alle elezioni in Iran. Che cosa chiedevano e chiedevamo tutti, appunto? Di sapere, certo, ma di sapere subito, di avere una risposta immediata, di sentire il battito della situazione. D’altronde, è nella situazione che le cose accadono, che le idee nascono. Idee che sorgono dall’interconnessione, dall’intelligenza connettiva, da persone, situazioni, cose che producono e attivano inaspettate risorse per dare risposte a problemi prima ritenuti insolubili.

Le idee possono essere produttive anche di negatività. Molte idee hanno cambiato in peggio la vita di uomini e donne, pensiamo a certi deliri politici del Novecento…
Sì, chiaramente, ma consideriamo una precondizione: se i totalitarismi del Novecento si rivolgevano alle masse da “controllare”, quando si parla di web e di internet non c’è più una massa propriamente intesa. Il controllo diventa, allora, una cosa complessa. La “massa”, in questi ambienti, funziona infatti non in base alla quantità, ma alla velocità. È molto più facile controllare la televisione o i media di vecchia generazione, rispetto a quanto non lo sia col web. Molti paesi, ciò nonostante, ci provano. Penso alla grande muraglia di fuoco cinese, ad esempio, che preventivamente blocca l’accesso a Youtube o Facebook o alcuni programmi che, evidentemente, mettono paura a chi detiene un potere potere e se ne sente minacciato. In Italia, un’invenzione intelligente per controllare la rete è stata la scandalosa richiesta di iscriversi, di consegnare dati personali per l’accesso ai collegamenti wi-fi.

Questo però è un mondo comunque destinato a cambiare, anche perché sta cambiando rapidissimamente l’approccio primo alla conoscenza: la lettura. Non tanto e non solo il passaggio dal libro all’e-book, la cosiddetta quarta rivoluzione, ma c’è una frattura sempre più grande tra “immigrati” e “nativi digitali”.
La lettura su pagina, inchiostro e carta è sempre stata una strategia di rallentamento. Si leggeva per “riflettere”, per “capire” e “comprendere”. Oggi questa dimensione sembra perduta, ma forse non è così. Forse, in un contesto in cui dominano l’ipervelocità della rete e dei sistemi di comunicazione, la carta può “ridisegnare” il proprio ruolo, costringendo a letture in profondità, piuttosto che in superficie. La quarta rivoluzione del libro a stampa non esaurirà la funzione del libro e neppure quella della stampa. Ma la riconfigurerà secondo altri parametri che dobbiamo saper cogliere, senza allarmismo.

Lei ha parlato di microcredito, potremmo parlare anche di strategie di micro-comunicazione e micro-politica?
Sì, sono d’accordo e vedo nell’Europa il campo in cui questa possibilità può dispiegarsi. L’Europa è un vero spazio comune non sempre vissuto come comune, ma con un aspetto in più rispetto ad altri spazi del genere: l’attenzione per le comunità più piccole. Psicologicamente l’Europa non è nata con i grandi trattati, ma dalla possibilità di vedere una mappa, una cartina la sera, quando si osservano le previsioni meteo. Le persone hanno concepito la possibilità di un grande continente oltre le differenze culturali e linguistiche quando hanno avuto la visione geografica di questa possibilità e di questo ambiente che si chiama “Europa”. Ora dovremmo fare la stessa cosa con il mondo, allargare la visione oltre le differenze. Produrre nuove idee, praticare nuove connessioni.


Domanda scontata, ma necessaria: il futuro?
Io vedo un futuro sempre più globale, ma anche sempre più frammentato, positivamente frammentato in città che potranno, al di là di ogni degenerazione populista o politicamente retriva, funzionare come vere città-Stato, dinamiche, interconnesse, comunicanti tra loro, eppure differenti. Politica e comunicazione, dunque, strettamente connesse, potranno alzare lo sguardo e osservare il mondo e, con lo stesso movimento, non dimenticarsi dei luoghi non perdere di vista il locale. Il giornalismo non morirà, mentre il giornale di carta è destinato a morire… per rinascere. Rinascerà in parte su carta, se saprà cogliere la sfida del locale, in parte in forma elettronica se sarà all’altezza delle aspettative globali. Ma, ripeto, l’alchimia è sottile, non ci sono ricette facili.

Questo rapporto globale-locale liquiderà definitivamente la forma-Stato?
La forma-Stato è un hardware molto vecchio, che ha esaurito la sua funzione. Chiediamoci: dove sono i bisogni? I bisogni veri, concreti, quelli della nostra vita pratica e quotidiana, non quelli dei grandi discorsi politici. In quale spazio nascono e crescono questi bisogni, in quali luoghi? Noi abbiamo bisogno di locale e di globale.

Abbiamo bisogno di twitter, ma anche di strumenti che vadano nel profondo. In questo senso, la carta stampata affiancata dai moderni dispositivi di lettura, tipo l’I-Pad, potranno replicare quel rallentamento dello sguardo che, in sé, non contraddice affatto la nostra tensione verso una strategia di interconnessione e intercultura.

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L’AUTORE
Derrick de Kerckhove

Nato a Wanze, il 30 maggio 1944, è direttore del Programma McLuhan in Cultura e Tecnologia ed autore di La pelle della cultura e dell’intelligenza connessa (titolo originale: The Skin of Culture and Connected Intelligence) e Professore Universitario nel Dipartimento di lingua francese all’Università di Toronto. Attualmente è docente presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II dove è titolare degli insegnamenti di “Sociologia della cultura digitale” e di “Marketing e nuovi media”.

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