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UE sta per Unione Etica? Una riflessione critica sulla sentenza sulle unioni gay
L'economista Marcello Esposito analizza la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. «Se il potere legislativo rinuncia alle proprie prerogative e si affida, per codardia o incompetenza, alla pura logica deduttiva di una Corte le aberrazioni sono dietro l'angolo»
Partiamo chiarendo che per me le unioni civili tra persone dello stesso sesso andrebbero approvate, proprio come prevede la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Possiamo discutere su singoli aspetti (adozioni, maternità surrogata, reversibilità della pensione, …) ma questo ci distoglierebbe dal punto che desidero sollevare, che è il seguente. Mentre per la CEDU le unioni civili andrebbero introdotte nel nostro ordinamento perché così si deduce “logicamente” dalla Costituzione Italiana e dalla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo della Comunità Europea, per me le unioni civili andrebbero approvate perché alcuni nostri concittadini chiedono di poter ottenere un quadro giuridico certo dei loro diritti e dei loro doveri, invece che rimanere nell’incertezza attuale.
So che per molte coppie omosessuali fa poca differenza se a catturare il topo è un gatto bianco o uno nero. Ma invece la differenza c’è ed è enorme. Non solo infatti non ha alcun senso che sia un potere giurisdizionale sovranazionale a sostituirsi al potere legislativo nazionale in campi che sono così inerentemente “etici”. Ma è anche estremamente pericoloso per le conclusioni a cui si potrebbe arrivare scambiando gli articoli della Costituzione e delle varie Carte europee per una serie di postulati a-temporali e a-culturali e iniziando a derivare teoremi quasi come fossimo in uno spazio euclideo e non in una società complessa e dalle tradizioni millenarie.
Per capire l’aberrazione a cui può potenzialmente portare l’applicazione del metodo utilizzato dalla CEDU, seguiamo le motivazioni della sentenza che in larga parte sembrano ricalcare quelle della sentenza 138 del 15 aprile 2010 della nostra Corte Costituzionale. Nel ragionamento si parte dall’articolo 2 della Costituzione Italiana che recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Un comune mortale penserebbe che qui i padri costituenti si stessero riferendo alla famiglia o alle coppie? A mio parere no, ma sta di fatto che, siccome le coppie omosessuali sono una micro formazione sociale, hanno diritto a veder riconosciuti dalla legge i propri diritti e doveri. Da qui, quindi la necessità di una forma di “unione civile” e la condanna dell’Italia che non la prevede.
Ma la sentenza non può ovviamente fermarsi qui, perché esiste già nella Costituzione Italiana una forma di unione civile formata dalla volontà di due persone e si chiama famiglia fondata sul matrimonio. Il ragionamento prosegue chiedendosi perché la famiglia italiana non possa essere omosessuale e quindi se il Codice Civile, che vieta il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non sia incostituzionale. A rendere le cose difficili ai giudici della CEDU c’è il fatto che l’articolo 29 della Costituzione non specifica tra l’altro il sesso dei coniugi (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.”). E in effetti sarebbe stato anche molto strano nel 1945 pensare ai coniugi in termini omosessuali. Per noi comuni mortali non sarebbe comunque una grande difficoltà, il senso è chiaro. Ma provate ad immaginare se siete un computer. Dovere esaminare necessariamente anche il caso in cui i coniugi siano dello stesso sesso prima di eventualmente scartarlo come inappropriato.
Apriamo a questo punto una piccola parentesi. La cosa peculiare è che, se la Costituzione italiana non menziona esplicitamente il sesso dei coniugi, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a cui i tre ricorrenti italiani si sono appellati, invece lo fa. E all’Articolo 12 “Diritto al matrimonio” recita “A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto.” Per un comune mortale, come il sottoscritto, il senso dell’articolo è abbastanza chiaro. E mi viene il sospetto che a questo punto la logica deduttiva entri in corto-circuito e venga sostituita da una logica “politica”. I giudici della CEDU evidentemente non possono rifiutare il ricorso delle tre coppie in base all’anti-storicità della norma europea ma allo stesso tempo non possono costringere un paese membro all’equiparazione tra matrimonio gay e matrimonio etero. I tempi non sono ancora maturi. E’ necessario trovare un appiglio nella giurisprudenza italiana. Ed ecco che se la cavano con una motivazione “storica” sulle presunte intenzioni dei padri costituenti quando scrissero l’articolo 29.
In conclusione, la geometrica conseguenza degli assiomi costituzionali, italiani ed europei, è che l’Italia deve dare sostanza giuridica alle unioni civili, ma queste non devono necessariamente essere equiparate al matrimonio eterosessuale.
Se queste sono le conclusioni, dove è il problema? La palla ritorna al Parlamento italiano e tutti, se vogliono, possono gridare vittoria, anche le associazioni cattoliche. Il problema è che la motivazione per evitare la logica conclusione dell’equiparazione tra matrimoni omosessuali e eterosessuali alla fine è solo “storica” e legata allo zeitgeist del 1945. Quindi fa a pugni con la ragione stessa per cui si vogliono oggi (e non nel 1945) riconoscere e regolamentare le “unioni gay”. Ecco quindi la “pericolosità” di questo modo di procedere. Il termine “pericolosità” è da intendere ovviamente nel senso di “conseguenze inattese o indesiderate” per la comunità nel suo complesso.
Se il potere legislativo rinuncia alle proprie prerogative e si affida, per codardia o incompetenza, alla pura logica deduttiva di una Corte, non c’è proprio nulla che possa impedire un successivo ricorso per equiparare le unioni civili al matrimonio. Visto che l’articolo 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti ha, come abbiamo visto, un’interpretazione diversa da quella che daremmo noi comuni mortali, basta l’applicazione dell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, quello che vieta la discriminazione per ragioni sessuali. I giudici della Corte Costituzionale americana, ad esempio, non hanno avuto alcun riguardo per la sensibilità dei diversi Stati e con stile molto yankee hanno equiparato lo scorso giugno matrimoni gay e matrimoni etero.
E il problema non sono solo i matrimoni gay. Con l’abdicazione del potere legislativo in favore di quello giudiziario, anche altre forme familiari potrebbero essere imposte da Strasburgo in base all’applicazione di una pura logica deduttiva. Ad esempio, la poligamia rientra forse ancora meglio della coppia omosessuale nella definizione di formazione sociale di cui all’articolo 2 della Costituzione. Tra l’altro, nell’articolo 29 non si stabilisce né il sesso né il numero massimo di coniugi. Lo so che per noi comuni mortali tutto ciò può non aver senso. Ma noi non siamo giudici costituzionali e applichiamo il buon senso dove invece altri applicano la logica e l’interpretazione letterale. E, se si parla di società naturale, la poligamia non solo esiste in natura (come l’omosessualità) ma è riconosciuta in legislazioni storiche e contemporanee. In caso di ricorso, il divieto della poligamia, contenuto nel nostro codice penale (art 556), potrebbe essere anch’esso eliminato in quanto incostituzionale o contrario ai diritti dell’uomo.
E poi si potrebbe procedere con altre forme ancora più moderne di famiglia. Non tanto le cosiddette “famiglie allargate” nate da divorzi e successivi matrimoni, dove i membri adulti preferiscono rimanere separati in coppie e dove quindi è più semplice applicare il vecchio “matrimonio”. Ma le “comuni” nate negli anni ’60 e ’70, in cui gruppi di uomini e di donne condividono talamo, cucina, prole, … E se non è formazione sociale una comune, non lo è certo una coppia eterosessuale. Anche la legittimità del matrimonio tra consanguinei in linea retta potrebbe essere dedotta usando la logica di Strasburgo. L’articolo 29 della Costituzione non lo vieta espressamente e l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea vieta la discriminazione di natura genetica.
Insomma, il nuovo motto del diritto familiare potrebbe presto diventare, come nel mondo dei creativi, “imagination is the only limit”. A meno che un limite non lo metta la UE intesa come Unione Etica. E allora dovremo preoccuparci di chi a Strasburgo determina l’Etica per tutti noi cittadini europei.
P.S. – Per me che non sono un giurista è incomprensibile come la Corte di Strasburgo abbia potuto emettere una sentenza nell’ambito del diritto di famiglia visto che la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione stabilisce all’Articolo II-69 (“Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”) che “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio.” Per me è chiaro come il sole che l’Europa non dovrebbe impicciarsi di famiglia e unioni civili. Ma io sono una mente semplice e non mi sarei nemmeno mai immaginato che l’articolo 2 della nostra Costituzione si riferisse anche alle coppie di marito e moglie, fidanzato e fidanzata o semplicemente amici.
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