Welfare

Trasparenza dei bandi e affidamenti diretti camuffati

Gli assessori passano, i dirigenti restano. E nel frattempo il fenomeno degli affidamenti diretti di servizi sociali al terzo settore, da parte delle amministrazioni locali, ha raggiunto cifre da capogiro

di Marco Ehlardo

Di recente l’Autorità nazionale anticorruzione si è concentrata sul fenomeno degli affidamenti diretti di servizi sociali al terzo settore da parte delle amministrazioni locali. Dati impressionanti, ma non sorprendenti. Su questo suggerisco l’ottimo articolo di Francesco Dente.

Ma gli affidamenti diretti sono la parte più visibile del rapporto, a volte malato, tra politica e terzo settore.

Ci sono altre forme, più subdole e meno individuabili, di affidamenti sostanzialmente diretti. Una di queste sono i bandi ad hoc.

Una volta mi è capitato di avere tra le mani un bando di un assessorato alle politiche sociali per l’affidamento di un servizio per immigrati. Mi ricordo che andai dall’assessore (per la mia gestione di maiuscole e minuscole vi rimando al mio libro) per dirgli che sarebbe stato più onesto, da parte sua, affidare direttamente il servizio all’organizzazione per la quale era stato costruito il bando. Il personaggio, invece di provare a contestare la mia accusa, mi rispose candidamente: “ma questo servizio non lo posso affidare direttamente!”.

Ci sono due modi perché un bando venga vinto sicuramente dall’organizzazione xy per il quale è stato ideato: inserendo requisiti posseduti solo da "xy", o per taciti accordi tra le organizzazioni del terzo settore del territorio. Nel primo caso il processo è molto semplice. Uno dei requisiti privilegiati è quello dell’esperienza maturata. Se, ad esempio, il bando prevede l’assegnazione di un servizio già esistente e gestito da "xy", si assegna un corposo punteggio aggiuntivo per aver già gestito il servizio. Sia chiaro, non è necessariamente una cosa senza senso; andrebbe però collegata ad un serio monitoraggio e valutazione delle attività svolte da "xy" nella precedente gestione, cosa che non avviene praticamente MAI.

Il risultato è che il servizio viene riassegnato anche se la gestione precedente è stata un disastro. Anzi, la gestione inefficiente diviene addirittura un elemento di premialità. Con buona pace dei diritti dei destinatari del servizio.

Con un serio monitoraggio e valutazione, si potrebbe risolvere il problema semplicemente: punteggio aggiuntivo a chi ha fatto bene il suo lavoro, punteggio penalizzante (o ancor meglio esclusione dal bando) a chi lo ha fatto male.

Poi c’è il classico caso dei requisiti soggettivi dell’organizzazione, ossia quelli slegati dalla gestione di servizi.

Devi avere la sede esattamente in quella zona. Devi avere esattamente quella composizione degli organi direttivi o dei soci. I tuoi collaboratori devono avere esattamente quel curriculum vitae. Devi far parte tassativamente di quella specifica rete, o di quello specifico tavolo. E così via.

Non credete che sia sempre la politica l’unica responsabile (lo è spesso, ma non sempre). Di sovente queste clausole vengono inserite dai dirigenti dell’amministrazione. Che sono quelli che hanno realmente il potere in mano.

Gli assessori passano, i dirigenti restano. Anche loro mai soggetti ad una seria valutazione. Ho sempre detto che sarebbe molto più efficace, per testare la trasparenza di un ente, monitorare le determine dirigenziali piuttosto che le determine di giunta.

Il secondo caso è quello più subdolo, ed è quello più in voga laddove si è riusciti a costruire il “sistema”.

Ci sono, ad esempio, più organizzazioni che si occupano di un tema. Ognuna gestisce un progetto specifico, per il quale però potrebbero tranquillamente candidarsi alla gestione anche le altre. Se esce un bando su uno di questi progetti, si presenta solo chi lo gestisce. Gli altri, leggendo il bando, già sanno a chi è diretto e si astengono dal presentarsi. Io non dò fastidio a te, tu non darai fastidio a me. L’amministrazione, infine, inserisce uno dei requisiti di cui sopra, in modo che nessun esterno al “sistema” possa avere speranze di vincere il bando, ed il gioco è fatto.

E la concorrenza? Non pervenuta. Come si fa a scoprire questo gioco? Non sarebbe difficile; basterebbe, ad esempio, controllare da quanti anni la stessa organizzazione gestisce lo stesso progetto o servizio.

Dopodiché, sia chiaro, questo non è necessariamente un elemento di negatività. Se un’organizzazione fa un ottimo lavoro è giusto che possa continuare a farlo. Il problema è se non lo fa e se nessuno controlla cosa fa. Ma sarà un caso se nessuno controlla?

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