Economia

Se il social business diventa il motore della cooperazione

Al Social Enterprise World Forum si è parlato anche di cooperazione allo sviluppo, e di cosa succede quando i vecchi modelli di non-profit non funzionano più, è proprio allora che entra in campo il social business

di Ottavia Spaggiari

Impresa sociale come motore della cooperazione, una sfida che sta aprendo scenari sempre più interessanti. Di questo si è parlato venerdì mattina a Milano, durante la terza giornata del Social Enterprise World Forum 2015, il punto di incontro tra gli imprenditori sociali di tutto il mondo che ha portato nella città dell’Expo 2015 centinaia di protagonisti del social business globale, ma anche policy-makers e rappresentanti delle agenzie di sviluppo che, nell’impresa sociale, vedono un nuovo strumento per affrontare sfide che cambiano continuamente e per le quali i vecchi modelli sembrano non essere più adeguati.

“Il problema è che molto spesso i progetti falliscono subito dopo che viene tagliato il nastro rosso dell’inaugurazione,” dichiara Elena Casolari, CEO di Fondazione Acra-Ccs che ha portato a Milano il Social Enterprise World Forum 2015. “Abbiamo provato ad aprire le porte al settore privato, cambiando mentalità. La diversità può aggiungere prospettive e punti di vista. Abbiamo dato vita anche a Opes Fund, che opera con soggetti provenienti da background molto diversi per investire in imprese sociali nei Paesi in via di sviluppo. Le imprese sociali infatti, molto spesso si dimostrano più efficaci e molto meno costose di molti programmi di cooperazione più tradizionali. Tra l’altro, molto spesso le ONG sono sostenute da donatori che non sono molto flessibili e hanno dei criteri di misurazione dei risultati che si rivelano spesso inadatti.” Secondo Matthew Guttentag dell’Agenzia per lo Sviluppo statunitense, USAID, in realtà, “L’impresa sociale è ancora una nicchia. Non è realistico pensare che rimpiazzi completamente la cooperazione. Quel che è certo, però è che verra sempre più inclusa all’interno di modelli a più lungo termine.”

Ma che l’impresa sociale sia sempre più considerata un modello prezioso per la cooperazione internazionale, lo dimostra anche l’investimento della Sida, l’agenzia di sviluppo internazionale svedese, una delle più importanti in Europa, basta pensare che il governo svedese devolve alla cooperazione circa l’1% del proprio Pil. “Da una sola persona che lavorava nel dipartimento dedicato al supporto dell’impresa sociale, nel 2009, siamo passati a 30 dipendenti. Abbiamo adottato in molti casi un approccio imprenditoriale, cercando di diventare più flessibili e più pazienti,” spiega Carmen Lopez-Clavero di Sida. “Abbiamo attivato programmi diversi, in alcuni casi unendoci a grandi corporation e impegnandoci così a sostenere l’investimento a metà.”

D’altronde come racconta Jonathan Wong, del Department for International Development, “Sono sempre di più le grandi aziende che cercano di passare dalla CSR allo Shared Value. La verità è che spesso la cooperazione crede di dettare ancora l’agenda ma non è più così. Le rimesse e gli investimenti privati sono superiori ai fondi della cooperazione. ” E una delle alleanze che ha offerto il risultato più eclatante è proprio quella tra l’agenzia di cooperazione britannica, DFID e Vodafone, che ha portato allo sviluppo di M-Pesa, il servizio di trasferimento denaro che permette alle istituzioni di microfinanza di inviare e ricevere denaro con facilità dai prestatori e che è arrivata a fatturare 300 milioni di dollari. Partito come un progetto di cooperazione e poi sostenuto da Vodafone, M-Pesa è diventato un vero e proprio esempio di come la cooperazione può lanciare nuovi modelli. “L’esempio di M-Pesa, nata all’inizio come un progetto di sviluppo, ha dimostrato anche alle grandi multinazionali che vi sono enormi opportunità anche tra le fasce più povere della popolazione.” Eppure quando si parla di cooperazione e corporation, non tutti sono così ottimisti. A sottolineare le criticità, Sophi Tranchell, colosso dell’impresa sociale made in UK e fondatrice di Divine Chocolate, l’azienda di produzione di cioccolato equo le cui azioni sono detenute per il 45% da una cooperativa di produttori locali in Ghana: “E’ fondamentale che chi offre incentivi alle grandi multinazionali per investire nei Paesi in via di sviluppo, si assicuri poi che questi paghino le tasse in quei Paesi.” D’altra parte è proprio della scorsa settimana la notizia che all’anno vengono elusi circa 200 miliardi di dollari e a rimetterci di più sono proprio i Paesi in via di sviluppo. “Quello fiscale è un tema di estrema attualità e il governo svedese sta lavorando proprio su questo, quello che è certo è che stiamo ancora sperimentando e spesso, ogni fallimento nasconde un’innovazione, perché ci permette di imparare qualcosa per il futuro.”

Foto: YASUYOSHI CHIBA/AFP/Getty Images

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