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Una nuova legge impedisce ai supermercati di sprecare cibo

Dopo una grande mobilitazione popolare, è stato approvato un nuovo emendamento che impedirà alla grande distribuzione di buttare il cibo in eccesso. In Italia e Gran Bretagna due petizioni online chiedono di seguire l’esempio

di Ottavia Spaggiari

Una vera rivolta contro gli sprechi alimentari, è quella che si sta letteralmente svolgendo in diversi Paesi d’Europa dopo che, lo scorso giovedì, in Francia il parlamento ha approvato un emendamento che, di fatto, proibisce alla grande distribuzione di buttare i prodotti invenduti ma ancora commestibili, rendendo obbligatoria invece la redistribuzione e donazione alle organizzazioni non profit e ai banchi alimentari.

Approvato come parte di un disegno di legge più ampio sulla transizione energetica e la promozione delle rinnovabili, che deve però ancora passare in senato, il provvedimento prevede che i supermercati di più di 400 metri quadrati firmino una convenzione con un’associazione non profit a cui donare il cibo in eccesso, in ultima istanza, il cibo invenduto verrà trasformato in compost o subirà un processo di metanizzazione, per ridurre gli sprechi di lavorazione e produrre energia.

L’iniziativa francese è piaciuta parecchio oltremanica e oltralpe, tanto che, sia in Gran Bretagna che in Italia, sono state lanciate due petizioni online, la prima su 38 degrees e la seconda su Change.org, che stanno raccogliendo migliaia di consensi. D’altronde anche l’emendamento inserito nel progetto di legge in Francia è stato approvato dopo con una petizione, promossa dal consigliere comunale di Courbevoie, Arash Derambarsh, di Divers Droit (destra diversa), che aveva raccolto oltre 200 mila firme negli ultimi mesi.

E se il provvedimento francese è il risultato di una forte mobilitazione popolare ed è preso a modello da decine di migliaia di altri cittadini in tutta Europa, non mancano però le critiche.

Secondo le stime ufficiali la responsabilità più forte degli sprechi alimentari sarebbe del consumatore finale. Il cittadino medio francese butta dai 20 ai 30 kg di cibo all’anno, 7 dei quali sarebbero prodotti ancora incartati, un costo nazionale che ammonta a circa 20 miliardi di euro all’anno. Dei 7,1 milioni di tonnellate di cibo che finisce nella spazzatura in Francia, il 67% è sprecato direttamente dai consumatori, il 15% dai ristoranti e “solo” l’11% dai negozi.

La Fédération du Commerce et de la Distribution, che rappresenta i grandi supermercati ha criticato il piano. “La legge è sbagliata sia nel target che nell’intento, dato che i grandi negozi rappresentano sono solo il 5% degli sprechi alimentari,” ha dichiarato al Guardian Jacques Creyssel, a capo dell’organizzazione. “I supermercati sono già donatori di cibo, con più di 4.500 negozi che hanno firmato accordi con organizzazioni non profit.” 

E, sebbene diverse organizzazioni abbiano salutato l’emendamento come un passo avanti importante nella lotta contro gli sprechi, rimangono gli scettici come Olivier Berthe, presidente di Restos du coer, una rete di associazioni francesi per la distribuzione di pasti a persone bisognose che ha dichiarato a  Libération: “Questo per noi non si deve trasformare in un regalo avvelenato”, ha dichiarato Berthe, sottolineando che le associazioni devono “poter accettare solo ciò di cui hanno bisogno e scegliere la qualità e la quantità dei prodotti donati…Non siamo una discarica.” La preoccupazione riguarda infatti anche gli aspetti logistici. “Non possiamo affittare altri luoghi che ci costerebbero cari.” Una preoccupazione condivisa anche da Jacques Bailet presidente della Federazione francese dei Banchi Alimentari, a cui oggi viene donato il 35% dei prodotti dalla grande distribuzione, per cui l’aumento delle quantità potrebbe arrivare a causare problemi, soprattutto per il consumo di cibo fresco a scadenza breve, come la carne, il pesce e i latticini. “Se aumenteranno i volumi bisognerò trovare delle risorse logistiche e umane nuove per gestire i processi.”

Dal governo assicurano però che la gestione delle donazioni verrà definita all’interno di un accordo che sarà firmato dal governo stesso, dalle associazioni e dalla grande distribuzione.

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