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Burundi: il grido di Antoine Kaburahe per la libertà

Antoine Kaburahe è il direttore di Iwacu, l'unico organo di stampa indipendente rimasto in piedi in Burundi. Vita.it pubblica il suo ultimo editoriale, un grido disperato per denunciare le derive del regime burundese e aggrapparsi a una speranza...

di Redazione

Granate lanciate contro civili nel centro di Bujumbura, la capitale del Burundi, e un giornalista convocato dalla procuratore con il rischio di essere arrestato dalla polizia. Giunti al 25° giorno di contestazione contro il regime del Presidente Pierre Nkurunziza, la giornata di ieri riassume perfettamente lo stato di crisi pofonda in cui versa questo paese dell'Africa centrale in seguito all'annuncio della candidatura del presidente uscente alle elezioni presidenziali (previste in giugno) per un terzo mandato presidenziale violando la Costituzione burundese. 

In questo contesto drammatico, dove gli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine hanno fatto decine di morti e centinaia di feriti, dove i media indipendenti sono stati distrutti durante un golpe militare fallito, dove si contano oltre 100mila rifugiati burundesi nei paesi limitrofi, dove la contestazione si rafforza anziché placarsi, dove la Comunità internazionale ha già sospeso i suoi aiuti al processo elettorale minacciando sanzioni individuali contro i responsabili delle violenze tutt'ora in corso, alza la voce Antoine Kaburahe, il Direttore del sito d'informazione Iwacu, l'unica media indipendente ancora in attività a Bujumbura. In un editoriale pubblicato ieri, Kaburahe denuncia una libertà di stampa e di espressione ridotta in ceneri, con giornalisti terrorizzati dall'ondata repressiva del regime di Nkurunziza. Lo stesso regime che, secondo lui, vuole etnicizzare la crisi politica per soffocare un movimento di contestazione che vedi uniti manifestanti Hutu e Tutsi. 

Qui sotto la versione integrale dell'editoriale di Antoine Kaburahe.

Rimanere in piedi. Malgrado tutto. Malgrado una paura quotidiana. Nel sentire gli spari nella notte, nel contare i morti e i feriti. Tutto questo per niente.

Rimanere in piedi malgrado le redazioni bruciate, i colleghi terrorizzati, nascosti o in fuga. Non pensare troppo a ciò che eravamo, a questa stampa dinamica, pluralista, rispettata nel paese e sul continente. Questa stampa è scomparsa in una notte.

Rimanere in piedi. Sforzarsi a sopravvivere, perché di sopravvivenza si tratta. Lottare contro la disperazione, l’autocensura, sforzarsi ogni giorno di fare semplicemente il proprio lavoro: testimoniare, vedere e raccontare. E a volte non capire. Non capire come sia possibile che un paese possa precipitare – politicamente ed economicamente – in questo modo sotto gli occhi di tutti.

Ma non proprio tutti. C’è chi sostiene che in Burundi va tutto bene, che anche “le elezioni si svolgeranno in modo corretto”… Del resto, chi crea disordini viene circoscritto a “qualche quartiere della capitale”.

Contro questo “minoranza”, espressione utilizzata volontariamente e il cui doppio senso non lascia spazio ai dubbi, bisogna mandare qualche poliziotto zelante per non farsi rubare “il potere che il popolo ci ha dato”. ‘Ubutegetsi twiherewe n’abanya gihugu’ è diventato uno slogan.

Salvo poi scoprire, ed è questa l’unica buona notizia, che i burundesi hanno fatto un passo da gigante nel prendere politicamente coscienza che questa “minoranza”, checché ne dicano coloro che vogliono etnicizzare la contestazione, è multietnica.

Sicuro di avere il consenso delle colline docili e silenziose, il regime si ostina, minimizza la contestazione “cittadina”. Ma come ha sottolineato sul settimanale panafricano Jeune Afrique, François Soudan, “in Africa il potere si vince o si perde nelle capitali”. 

di Antoine Kaburahe – Direttore di Iwacu

Copyright foto: Infosgrandslacs.info

Iwacu è media dell'agenzia Infos Grands Lacs, con cui Vita.it ha siglato un accordo triennale per la produzione di contenuti dal'Europa destinati a una rete di media indipendenti dell'Africa dei Grandi Laghi.

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