Volontariato
«Un’Arci senza slot è possibile»
Parla Emanuele Patti, membro della presidenza nazionale ed ex presidente di Arci Milano. «Tanti territori sono riusciti a debellare le macchinette. Se è vero come ha detto Chiavacci che non ci possono essere diktat da Roma certamente si può fare molto di più, sin da ora»
Dopo l'intervista rilasciata a Vita dalla presidente di Arci Francesca Chiavacci, sul caso del circolo San Nicolò di Firenze e le slot machine, il dibattito interno è esploso non solo nei comitati ma anche su Facebook. Tra i tanti ad aver preso posizione c'è anche Emanuele Patti, in qualche modo il volto milanese di Arci, non solo per esserne stato il presidente ma anche per la sua militanza ventennale. Vita.it lo ha intervistato
Come commenta l'intervista di Chiavacci su Vita?
Ho partecipato in parte anche al dibattito sui social. E posso solo ribadire quello che ho già detto. Credo che questo delle slot sia un tema fondamentale. Dobbiamo capire come un'organizzazione grande come la nostra, basata su una rete di autonomie come sottolinea giustamente la presidente, possa affrontare questo problema. Si tratta di un'autonomia patrimoniale e politica, quindi Roma non può, anche volendo, pensare di dare direttive. Detto questo è certo che si deve fare di più. Ci vuole un lavoro vero di moral suasion facendo capire ai circoli che le slot vanno tolte.
Per Chiavacci il problema è economico. Ammesso che si trovino i soldi per scindere i contratti, una volta tolte le slot non ci sarebbe più il denaro necessario per continuare l’attività. Insomma non si possono dismettere. È così?
È chiaro che è un problema economico. Ma bisogna cambiare il punto di vista. Il problema non è che non si può fare. Il problema è capire come sostituire quegli introiti, che spesso servono per raggiungere il pareggio di bilancio e pagare le bollette. Nessuno in Arci si arricchisce con le slot. Siamo sicuri che sia l’unico modo di essere autosufficienti? Io non credo.
Va bene. Ma come si fa?
Intanto si possono cercare altre convenzioni. Agire su altri fornitori di servizi, eticamente compatibili. Penso ad esempio alla finanza etica, al commercio equo, o a elementi di finanziamento come il crowdfunding. È chiaro che bisogna cambiare prospettiva. Ma si può fare. Perché non far ricadere, ad esempio, dei progetti di aiuto alle fragilità che magari portano sul territorio alcune azioni, nei circoli? Certe attività possono essere ospitate da Arci, magari anche percependo un affitto. C’è poi il privato sociale. Le mille possibilità che danno impresa e cooperative sociali. Insomma le strade ci sono e i nostri comitati sono in grado di inventarsi e gestire queste nuove forme.
Ma è possibile? Cioè nel concreto è una strada percorribile?
Ho visto fare percorsi molto interessanti proprio in Toscana, dal comitato di Empoli. Un percorso, per nulla facile, con cui sono riusciti ad eliminare le macchinette. Partivano da un numero alto di circoli da convincere. Nessuno si è mai messo di traverso. Semplicemente hanno chiesto come e hanno seguito le indicazioni del comitato. Poi ci sono tante esperienze di circoli che, autonomamente, si sono liberati delle slot. Ho in mente il circolo Ghezzi di Lodi che ha fatto un percorso spontaneo e i cui soci hanno deciso di dismetterle.
Anche qui però c'è un obiezione da parte di Chiavacci: l'autonomia lascia Arci Nazionale senza armi. È così?
Credo che l’Arci abbia un grande vantaggio: può usare quello che chiamo il copia e incolla positivo delle buone pratiche. L’autonomia permette il nascere e prosperare di nuove idee e forme. Basterebbe vederle studiarle e riproporle declinate nel modo giusto per il territorio dove vengono esportate. Dobbiamo essere in grado di mettere in campo una forza di persuasione credibile. In modo che i circoli che ancora hanno le slot sappiano che devono dismetterle.
Sì, ma a quanto pare Arci nazionale non ha mezzi di persuasione…
Non è vero. Una c’è, ed è il rinnovo dell'affiliazione. Se un circolo non toglie le slot entro l’anno non viene rinnovato. , nel caso sia nuovo, non deve avere le macchinette, e si deve impegnare a non metterle. Non abbiamo un sistema di regole cogenti, è vero, e neanche un sistema sanzionatorio. Ma un’arma c’è. Quando ero presidente qui a Milano, proprio per questo motivo non ho più voluto un circolo di Lodi. Li avevo avvisati ho mantenuto la parola. Ci vuole coraggio, ma è utile e serio.
Ma come si spiega questa dicotomia tra l'Arci Nazionale e i territori?
Sono dentro Arci da vent'anni. Sono entrato che Milano aveva 40mila soci adesso ne ha 115 mila. Ho un idea di associazionismo che è molto tangenziale all'idea d'impresa sociale. L’idea per cui do lavoro ai giovani facendo cultura. Ma per farlo devi rinnovarti e cambiare impostazione. Essere al passo con le sfide di oggi. Le slot sono solo uno di questi cambiamenti. La grande distanza che si legge oggi tra zone come l’Emilia e la Toscana rispetto a i territori del profondo nord ma anche del sud Italia sta in questo sguardo al futuro. A Firenze sono concentrati solo sulla vecchia forma delle case del popolo. Il problema è che si tratta di un modo che non bassa più. E lo dico senza nessuna accezione polemica. Sono l'unico ad aver rifiutato un ruolo nazionale che mi offrì proprio Chiavacci. Con la presidente ho un rapporto franco e leale. Quello che è certo, ed è il problema, è che ci vuole uno sguardo generale. Se la realtà si vede solo con gli occhiali di Firenze, o con quelli di Milano non si può avere uno sguardo d'insieme. Oggi c'è bisogno di questa visone ad ampio respiro che purtroppo manca.
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