Mondo

2.466 condanne a morte nel 2014, 500 in più rispetto al 2013

Presentato il focus Amnesty International sulla pena di morte, calano le esecuzioni, ma aumentano le condanne. La Cina resta il Paese che mette a morte più persone nel mondo, per Amnesty emesse ed eseguite migliaia di condanne a morte, ma i numeri restano sconosciuti

di Antonietta Nembri

Aumentano le condanne a morte (+28%) ma diminuiscono le esecuzioni (-22%). Sono questi alcuni dei dati salienti del Rapporto annuale di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo. Allarmante secondo l’organizzazione per i diritti umani è l’aumento dei Paesi che hanno usato la pena di morte per contrastare minacce, presunte o reali, alla sicurezza collegate a terrorismo, criminalità o instabilità interna.

A far aumentare il numero delle condanne a morte lo scorso anno (500 in più del 2013) secondo il rapporto di Amnesty sono stati in particolare Egitto e Nigeria che hanno emesso condanne di massa. «I governi che usano la pena di morte per contrastare la criminalità ingannano se stessi. Non c’è prova che la minaccia di un’esecuzione costituisca un deterrente più efficace rispetto a qualsiasi altra sanzione»,  ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.
«Nel 2014 la lugubre tendenza dei governi a usare la pena di morte nel futile tentativo di contrastare minacce reali o immaginarie alla sicurezza dello stato e alla salute pubblica è stata evidente» ha aggiunto Shetty. «È davvero vergognoso che così tanti stati del mondo giochino con la vita delle persone, eseguendo condanne a morte per "terrorismo" o per venire a capo dell’instabilità interna, sulla base della falsa teoria della deterrenza».

Venendo ai numeri del rapporto la Cina, ancora una volta, risulta essere il paese che ha messo a morte il maggior numero di persone al mondo. Secondo Amnesty International in Cina sono emesse ed eseguite migliaia di condanne a morte ogni anno tuttavia è impossibile determinare il numero che è coperto da segreto di stato.

Dopo la Cina, gli altri Paesi che fanno parte dei cinque principali esecutori di condanne a morte fanno parte l’Iran (289 esecuzioni rese note dalle autorità e almeno 454 non riconosciute), l’Arabia Saudita (almeno 90 esecuzioni), l’Iraq (almeno 61) e gli Stati Uniti d’America (35).
Escludendo la Cina, lo scorso anno si sono registrate almeno 607 esecuzioni, contro le 778 del 2013. Rimane invariato rispetto all’anno precedente il numero di Paesi in cui si sono eseguite le esecuzioni: 22. Nel 1995 i Paesi in cui il boia aveva lavorato erano stati 41: una chiara tendenza  globale abolizionista.
«I numeri parlano da soli: la pena di morte sta diventando un ricordo del passato. I pochi Paesi che ancora la usano devono guardarsi seriamente allo specchio e chiedersi se vogliono continuare a violare il diritto alla vita oppure aggiungersi all’ampia maggioranza dei paesi che hanno abbandonato questa sanzione estrema, crudele e disumana». ha commentato Shetty.

Preoccupante per Amnesty è la tendenza a combattere le minacce alla sicurezza con la pena di morte. Tendenza che è stata registrata in ogni parte del mondo. Condanne per terrorismo sono state eseguite in Cina, Pakistan, Iran e Iraq. In particolare in Pakistan si sono riprese le esecuzioni dopo l’orribile attacco dei talebani contro una scuola di Peshawar. A dicembre sono state messe a morte sette persone e il governo ha annunciato centinaia di esecuzioni per reati di “terrorismo”. Nei primi mesi del 2015 è stato registrato un alto livello di esecuzioni.

In Cina la pena di morte è stato lo strumento usato dal governo nella campagna lanciata contro la rivolta della regione autonoma uigura dello Xinjiang. Almeno 21 le persone messe a morte per tre distinti attentati e tre quelle condannate a morte in un processo pubblico di massa tenutosi in uno stadio, di fronte a migliaia di spettatori.
In altri paesi, come Arabia Saudita, Corea del Nord e Iran, i governi hanno continuato a usare la pena di morte come strumento per sopprimere il dissenso politico. Altri ancora hanno fatto ricorso alla pena di morte nel futile tentativo di abbattere i livelli di criminalità.

Drasticamente aumentato il numero delle condanne registrate nel corso del 2014: almeno 2466 rispetto a 1925 dell’anno precedente. In Nigeria, nel 2014 sono state emesse 659 condanne a morte, con un aumento di oltre 500 rispetto alle 141 del 2013. In una serie di processi, i tribunali militari hanno condannato a morte una settantina di soldati per ammutinamento, nel contesto del confitto interno contro Boko Haram.
In Egitto, le condanne a morte inflitte nel 2014 sono state almeno 509, 400 in più rispetto al 2013. In due processi di massa, celebrati attraverso procedure inique, sono state emesse 37 condanne a morte ad aprile e 183 a giugno.

Decapitazione, impiccagione, iniezione letale e fucilazione sono stati i metodi d’esecuzione impiegati nel 2014. Esecuzioni pubbliche hanno avuto luogo in Arabia Saudita e Iran.
Prigionieri sono stati messi a morte per tutta una serie di reati non di sangue, come quelli economici o quelli legati alla droga e le rapine, ma anche per atti che – sottolinea in una nota Amnesty International –  non dovrebbero essere neanche considerati reati, come “adulterio”, “blasfemia” e “stregoneria”. In molti paesi sono state usate vaghe definizioni di “reati” politici per mettere a morte reali o presunti dissidenti.

Nel Rapporto (in allegato) sono anche presentate le panoramiche regionali delle tendenze registrate nel corso dello scorso anno. Al sito di Amnesty anche un'infografica interattiva sullo stato della pena di morte nel mondo


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