Cultura
Libertà di informazione, a rischio il modello Tunisia
Debora del Pistoia, coordinatrice del Cospe, che si sta occupando di un progetto innovativo su libertà di informazione, libertà di espressione e libertà di associazione in Tunisia, Marocco, Egitto e Palestina
di Giada Frana
Libertà di associazione, di espressione e di informazione nella regione Mena (Medio oriente e Nord Africa) sono stati al centro di un incontro organizzato, tra gli altri, dalla ong Cospe (Cooperazione per lo sviluppo dei Paesi emergenti), nell’ambito del progetto regionale “Med Net: Civil Society and Media Development”. Ne abbiamo parlato con Debora del Pistoia, coordinatrice Cospe in Tunisia.
In cosa consiste il progetto Med Net?
Il progetto Med Net è partito nel 2013 e durerà per tutto quest’anno. È focalizzato principalmente sulla società civile e i media alternativi, i media indipendenti. Questi ultimi vengono definiti a seconda dei contesti. L’obiettivo è cercare di mettere insieme queste due componenti, la società civile e i media alternativi, per effettuare delle campagne per la promozione dei diritti, dei beni comuni e via dicendo. In particolar modo ci si occupa di libertà di informazione, libertà di espressione e libertà di associazione in Tunisia, Marocco, Egitto e Palestina, Paesi in cui Cospe opera da oltre 15 anni. Sono Paesi che sono stati toccati in modo molto diverso dai cambiamenti del 2011 e che continuano a cambiare molto. Questo progetto ci permette di portare avanti delle esperienze, soprattutto di media alternativi e comunitari di base, che avevamo iniziato ad accompagnare già nel 2012 in Tunisia e in Palestina. Probabilmente a breve anche in Marocco si creerà un piccolo posto radio.
Qual è la situazione dei media nei diversi Paesi in cui Cospe opera?
La situazione in questi quattro Paesi è molto diversa ed anche la relazione tra media e società civile.
Partiamo dalla Tunisia…
La Tunisia è forse il Paese tra questi più avanzato per quanto riguarda la libertà di espressione e il pluralismo mediatico. La relazione tra società civile e media si sta ricostruendo dopo anni in cui i media rappresentavano la propaganda e c’era una distanza e una sfiducia totale nei loro confronti da parte della società civile. Ora le due componenti cercano di lavorare insieme per continuare a lottare e portare avanti delle battaglie per i diritti.
In Egitto invece?
Per quanto riguarda l’Egitto, è il Paese con la situazione più difficile, anche rispetto alla libertà di associazione: è tornato indietro rispetto alla Rivoluzione in termini di conquiste di diritti. E’ il Paese in cui si fa più fatica a lavorare sia con le associazioni che con i media indipendenti; questi ultimi sono quasi inesistenti.
Per il Marocco?
Nel 2011 c’è stata un’apertura abbastanza ufficiale al pluralismo, da parte della monarchia, attraverso una serie di riforme che in qualche modo volevano presentare il Marocco come una vetrina di libertà di espressione. In realtà tramite le associazioni e le persone che lavorano con noi, sappiamo che non è così e che la libertà di espressione è sotto attacco costante. Ci sono giornalisti arrestati tutti i giorni, anche i nostri stessi partner hanno vissuto storie di repressione.
E in ultimo la Palestina…
Le Rivoluzioni del 2011 non l’hanno toccata per niente e vi è un altro tipo di problema, più legato all’occupazione. La situazione dei media indipendenti è molto particolare a causa del conflitto israelo-palestinese e del conflitto interno tra le due fazioni di Hamas e Fateh.
Quindi nella Regione la Tunisia rimane al momento il Paese che ha conquistato più diritti?
Sì, ha conquistato maggiori libertà e maggiori diritti, ma oggi questi diritti sono di nuovo in discussione e si sta correndo il rischio di tornare indietro di cinque anni, nelle due ultime settimane, attraverso leggi antiterrorismo, a cui hanno collegato la legge all’accesso all’informazione, su cui ad ogni modo la Tunisia non aveva avanzato molto.
La strategia regionale rimane un ottimo modo per poter raggiungere gli obiettivi preposti?
Per un momento ci siamo chiesti se avesse davvero un senso lavorare in termini di strategia regionale quando questi Paesi viaggiano a velocità differenti. Oggi purtroppo ha senso parlarne perché la Tunisia si trova di nuovo con le stesse sfide degli altri Paesi: con delle grosse conquiste ma con un sistema e uno stato di diritto ancora troppo fragile per poterle garantire.
Nel quadro di Med Net Cospe, insieme ai partner dei diversi Paesi – Amarc Europe, Palestinian Youth Union (PYU), Egyptian Association for Community Participation Enhancement (EACPE), Association Liberté et développement (ALD) e Red Chabaka-, ha inoltre realizzato uno studio, cofinanziato dall’Unione Europea, per fare una sintesi della situazione dei media indipendenti e della società civile nei quattro Paesi interessati e redigere un documento di proposte per migliorare la situazione. Il documento, ancora in via di definizione, propone una riforma giuridica a livello delle leggi che regolano la pratica giornalistica; attività di sensibilizzazione per i giornalisti dei media indipendenti; la creazione di una piattaforma che raggruppi i vari media indipendenti ed infine la nascita di un osservatorio regionale in materia di libertà di espressione.
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