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Non paghi i debiti, noi ti mettiamo dentro
Negli Stati Uniti in piena ripresa economica esplode il fenomeno dei debtor’s prisons: cittadini in difficoltà economiche vengono arrestati perché non in grado di pagare i propri debiti
A volte basta una multa non pagata per finire in galera. Almeno questo succede in Georgia, Stati Uniti d’America, dove la “caccia” al povero è diventata un business molto redditizio. Prendete il caso di Patrick, 38 anni, sposato con due figli. Ha perso casa e lavoro da impiegato in un motel e ora è alle prese con lavoretti saltuari e carta di credito in rosso. Un giorno, pur di arrivare puntuale al posto di lavoro dove l’uomo è addetto alle pulizie, ha spinto troppo l’acceleratore della sua vecchia Ford. Un agente della polizia di Augusta l’ha fermato e sanzionato con 150 dollari per eccesso di velocità. Tra pagare l’affitto e la multa, Patrick ha scelto il tetto della famiglia. Ma la municipalità l’ha citato un giudizio. A suo carico tutte le spese legali. Non potendo saldare il dovuto, l’uomo finisce nel vortice delle probation companies, le società private che si occupano della vigilanza domiciliare per i condannati a pene minori. Il costo del bracciale elettronico che gli cinge la caviglia è di 3mila dollari l’anno. Patrick non riesce a rimborsare neppure le prime rate e finisce in carcere per circa sei mesi a fianco di criminali comuni.
Come nel Settecento
La sua stessa disavventura, di piccoli debiti che diventano insormontabili, succede a migliaia di cittadini americani indigenti. Soprattutto nel sud: in Georgia, che ha il più alto tasso di incarcerati (in certe contee supera il 15% ) per reati amministrativi, ma anche in Alabama, Mississippi, Arizona, Arkansas. Sono i debtor’s prisons. Proprio come nel settecento. Un evento non troppo raro nell’America di oggi che pur di crescere punta su debito pubblico e privato. E che oggi, nei giorni in cui la ripresa torna al galoppo, rischia di lasciare indietro, braccia e gambe ai ceppi, migliaia di cittadini. «Le contee e le città», dice Sarah Geraghty, legale al Southern Human Rights Center di Atlanta, «stanno usando il sistema giudiziario per fare soldi alle spalle dei cittadini più poveri». E come se non bastasse anche il privato ha colto l’opportunità di fare profitti. «Ci sono più di 500 società private che si occupano di vigilanza dei condannati per reati minori. Sono poco regolamentate, per nulla trasparenti, ma stanno guadagnando milioni».
Il ruolo del non profit
Il Southern Human Rights Center è una delle poche realtà non profit che presta gratuitamente (si finanzia attraverso donazioni) – difesa legale alle vittime di un sistema giudiziario ormai votato al for profit. Questo centro è nato negli anni 70 per fare da argine alle ingiustizie di prigioni sul punto di esplodere, dove la popolazione è balzata in pochi anni da 200mila a 2 milioni di persone. Secondo il 14esimo Emendamento lo Stato non può incarcerare un individuo per debiti. E anche la Corte Suprema ha giudicato incostituzionale tali pratiche. Ma diversi tribunali locali si appellano all’idea che la persona sotto processo non ha fatto di tutto per sdebitarsi. «Non ha smesso di fumare, avrebbe potuto vendere il telefono», queste sono le osservazioni più frequenti dei giudici. E le compagnie private di probation scorrazzano indisturbate. «Queste società dovrebbero aiutare le persone a inserirsi nella società, trovare un lavoro e quindi pagare i propri debiti. Non capita mai. Anzi, abbiamo riscontrato che usano le persone sotto vigilanza per farsi pulire gli uffici». Secondo l’Aclu, l’American civil liberties association, la galera per chi ha debiti sta diventando un problema nazionale, e non solo del sud. Nella contea di Bentos, nello stato di Washington, un quarto delle persone in gattabuia, perde la libertà perché non sono riusciti a saldare i conti con i creditori.
Nell'immagine di copertina, a cura di Christian Benna, l'avvocato Sarah Geraghty
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