Sostenibilità

Globalizzazione. Quanto è amara la tazzina

Alcuni cooperanti dell’Honduras, in Italia grazie a TransFair, raccontano la loro difficile lotta nell’epoca dei mercati globali. "Commercio equo unica salvezza"

di Antonietta Nembri

Ma che c?entra la globalizzazione con la tazzina di caffè al bar sotto casa? Moltissimo. La tazzina di caffè al mattino, nelle case italiane, è un rito. Che si ripete al bar. E il costo di questa passione negli ultimi anni è sempre cresciuto. Ma questo aumento è un paradosso: perché se per gli italiani bere un caffè è un piacere che aumenta di prezzo, dall?altra parte del mondo il valore del caffè è in caduta libera. E lo sanno bene i produttori dell?Honduras. «Negli ultimi due anni il prezzo è sceso ai livelli più bassi degli ultimi trenta», constata José Angel Saavedra, parlamentare dell?Honduras e promotore con il suo gruppo politico di una serie di normative favorevoli ai piccoli produttori di caffè e alle cooperative di produzione che mirano a ridurre lo spazio degli intermediari. Saavedra è in Italia con Dagoberto Suazo Deleya, presidente dell?Unione delle cooperative di produttori di caffè dell?Honduras, per una serie di incontri e conferenze organizzate da TransFair. Ma con il crollo del prezzo del caffè, oggi non si riesce neppure a coprire i costi che affrontano i produttori. «In questo modo non abbiamo potuto vedere alcun beneficio portato dalle leggi che sono state introdotte», non può che constatare Saavedra. Per anni il prezzo era rimasto costante attorno ai 120-150 dollari a sacco (corrispondente a 46 chilogrammi) con oscillazioni minime; oggi è di 56 dollari a fronte di un costo di produzione che è di circa 80 dollari al sacco. «Da noi la situazione è drammatica», annota Saavedra, «soprattutto per i piccoli produttori, ma è una crisi che si sente in tutti i settori». Negli ultimi anni, i Paesi tradizionali produttori di caffè hanno dovuto fare i conti con un nuovo concorrente: il Vietnam che, anche grazie agli aiuti di Stati uniti e Francia, ha iniziato a produrre ed esportare caffè. «Fino a cinque anni fa non ne produceva e oggi è diventato uno dei principali produttori al mondo, secondo solo al Brasile. Il consumo mondiale», continua Saavedra, «è di 103 milioni di sacchi di caffè, mentre la produzione è di 117». Una sovrapproduzione che si accumula nelle scorte dei Paesi, produttori e consumatori, facendo contemporaneamente crollare il valore del prodotto. Apparentemente si tratta di un problema di domanda – offerta e surplus di produzione. Ma anche questo non è che uno dei tanti aspetti della globalizzazione. «Per noi il problema più grosso, prodotto dalla globalizzazione, è che l?import-export è nelle mani di poche persone, così i consumatori non hanno ottenuto alcun vantaggio dal calo dei prezzi per i produttori e, quindi, non c?è stato alcun incremento nei consumi. In Europa e negli Stati uniti», continua Saavedra, «il caffè è caro come prima, mentre l?industria non ha interesse che si venda di più, visto che gli utili che sta facendo adesso non avrebbe mai pensato di farli. Inoltre, uno degli effetti è stato un incremento dei costi di produzione per noi perché la legge della domanda e dell?offerta difficilmente funziona quando ci si trova davanti a monopoli od oligopoli». «In questo momento nei nostri Paesi stiamo vivendo gli effetti negativi della globalizzazione», spiega Dagoberto Suazo Deleya, presidente dell?Unione delle cooperative di produttori. E, oltretutto, dopo l?11 settembre, con l?attacco terroristico agli Usa e il conseguente clima di guerra che vive il mondo, i temi che i produttori del Sud ritengono fondamentali come, per esempio, una più equa distribuzione delle ricchezze «sono rimasti da parte. È completamente negativo che l?attenzione sia distolta dalle riflessioni su una più equa distribuzione delle ricchezze. Vogliamo discutere di come superare le barriere che ci impone la globalizzazione e che ha reso ancor più diseguali gli scambi. Per esempio», spiega Suazo Deleya, «dieci anni fa con 200 quintali di caffè si comprava un trattore, oggi per lo stesso trattore ne servono mille». Una globalizzazione con due facce e non obbligatoriamente entrambe negative, ricorda José Angel Saaverda. «Disgraziatamente il nostro livello di sviluppo non ci ha permesso di partecipare alla globalizzazione dal punto di vista qualitativo, ci è toccata la parte sfortunata e, agli altri, quella positiva». In un Paese come l?Honduras dove il 4 per cento della popolazione vive con 167 dollari l?anno, (meno di uno al giorno), l?esperienza dell?Unione delle cooperative è per certi versi rivoluzionaria. «La nostra è un?organizzazione di piccoli proprietari», spiega Dagoberto Suazo Deleya. «Non va dimenticato che in Honduras al 90 per cento sono piccoli produttori e che da noi la proprietà è molto piccola, a livello familiare. Siamo presenti in 18 dipartimenti e abbiamo associate 81 cooperative e 20 pre-cooperative, in totale si tratta di 10mila produttori. Quanto ricavato dal commercio equo viene utilizzato per rafforzare la cooperazione e sviluppare le comunità, ma anche per lo sviluppo di ogni produttore e della sua famiglia». Una goccia nel mare, in questo caso, potrebbe essere definito quanto sta accadendo in Honduras dove i piccoli coltivatori di caffè si sono uniti in cooperative e i ricavi sono investiti nello sviluppo di settori quali la salvaguardia della salute e l?alimentazione. Senza dimenticare le riforme introdotte, che hanno ridotto i passaggi tra produttore e consumatore (erano una decina): oltretutto con le nuove leggi a trattare con il Governo sono direttamente i rappresentati dei produttori. E in questo sforzo tra i partner c?è il commercio equo che garantisce giusti compensi ai produttori. Ma «questa linea di commercializzazione, oggi, rappresenta solo lo 0,25 per cento del commercio mondiale, come è emerso nel corso dell?ultimo incontro di Fairtrade labelling organizations», sottolinea Adriano Poletti, presidente di TrasFair Italia, «però è un fenomeno in crescita». Sperando che non sia troppo lenta per quel 40 per cento della popolazione dell?Honduras che vive con meno di un dollaro al giorno.


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